“Si vuol dire si”: Maria la prima; ma qualcosa non torna…

Un simpatico meme gira sui social con questa immagine che ironizza efficacemente sul “presepe inclusivo e laico”, ne ho trovato una copia qui.

Un passaggio recita:

Non contiene Maria, perché propone l’immagine di una donna prona al patriarcato.

Essere un popolo “molto cattolico”, come quello italiano, comporta un prezzo molto alto: il maggiore tasso di ignoranza di vera cultura cattolica fra la popolazione; è il prezzo da pagare; lo stereotipo lo conferma.

«non horruisti virginis uterum» recita il Dies Irae Te Deum, ovvero “[Dio] non ha disdegnato l’utero di una vergine”; e, udite udite!, perfino questo Dio, patriarcalissimo, chiede permesso a questa giovane donna, di una famiglia sconosciuta: “scusa posso incarnarmi nel tuo utero? Ne avrei bisogno per salvare l’umanità”. Lei non capisce proprio bene, e si permette anche di fare qualche domanda ulteriore: “come diamine funzionerebbe ‘sta cosa qui?”. Dio le spiega, e alla fine ottiene il suo assenso; e solo dopo si permette di agire. Altro che il “si vuol dire si” dei perbenisti di oggi: mica se lo sono inventato loro, Maria lo ha esercitato un bel po di tempo fa, dando il primo esempio.

Ho una curiossità-domanda molto semplice, se solo qualcuno potesse spiegarmi: come cavolo ha fatto una società che patriarciale era prima, e patriarcale ha continuato ad esserlo dopo, e patriarcalissimo sarebbe quel Dio, a inventarsi una storia del genere? E non solo: fino al punto da farla diventare una storia così importante nella narrazione fondamentale di una intera religione “patriarcalissima”. A me qualcosa non torna…

Viterbo, Gesù palestrato: diamo una medaglia o una laurea ad honorem!

Il buon umore rallegri sempre lo spirito della fede, per mostrare la sua bellezza.
Questo mondo ha bisogno di chi lo sostiene e lo incoraggia, non di chi fa il lamento di tutto quello che non gli garba, solo perché appartiene ad altri linguaggi. La vera bestemmia è ben altro.

Leggo dagli orrori della stampa:

Non capisco perché tutte queste polemiche per un cartellone pubblicitario di questo tipo che i cristiani dovrebbero in realtà ringraziare, vista l’opportunità che ci dà di parlare di lui.

Mi pare che il cartellone evidenzi profondità teologiche interessanti:

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Il mondo al contrario, o il Regno: dal saio di S. Francesco alle medaglie del Generale

di ritorno da Assisi una contemplazione sulle reliquie del Santo mi porta a pensare l’oggi polarizzante che mi provoca un certo disagio interiore.

Oggi sono stato ad Assisi. Da turista, più che da pellegrino, ad essere sinceri. Nella stupenda Basilica Inferiore, mentre mi preparo a scendere giù i gradini per la rituale visita alla tomba del Santo mia moglie mi indica una stanza laterale dove, mi dice, è presente un reliquario, dove vi sarebbe anche il saio originale di S. Francesco.

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@prof. Giannuli: possiamo ridurre Satana ad astrazione, a concetto o a simbolo ?

Il professor Giannuli, in un suo recente video, pur ammettendo la “serietà” della fede cattolica come differente dalle narrazioni positiviste che riducono tutto a superstizione, parla di Satana come un simbolo o un concetto. Ma è davvero così?

Rispondo al prof. Aldo Giannuli riguardo un breve passaggio nel suo video “laici e il cattolicesimo” al minuto 25:56 e seguenti, che per il resto risulta più che lodevole e apprezzabile per profondità e comprensione del mondo cattolico, cui egli non appartiene.

In realtà Satana è legato proprio a quella libertà, la stessa di cui il professore parla quando ricorda che “Liberté, Égalité, Fraternité” sono concetti di cui la modernità si è nutrita traendoli proprio dal Cristianesimo. Vediamo perchè.

Satana come “essere personale” è strettamente legato alla visione del libero arbitrio e non è separabile dalla fede cattolica. Il Catechismo ai numeri 391,395 ribadisce chiaramente la natura personale di Satana e dei suoi demoni: non è superstizione.

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Relativismo: controfigurazione messianica?

una risposta a Marco Gallarino sul suo Elogio del relativismo su Gli Stati Generali.

una risposta a Marco Gallarino sul suo Elogio del relativismo su Gli Stati Generali.

In queste ore molti stanno celebrando la memoria di Joseph Ratzinger apprezzando in particolare quanto egli si sia opposto al dilagare del relativismo proprio della società contemporanea.

capisco che proprio non va giù il fatto che venga tributato un onorato ricordo a una persona che ha dedicato una intera vita contro il relativismo. Se sei relativista certo devi dire qualcosa. Mi pare giusto. Evviva il dialogo franco.

Mi impressiona molto questo ragionamento, perché io sono convinto che il relativismo sia la più grande conquista della civiltà moderna.

Prima di tutto è importante e significativo sottolineare che di convinzione si tratta. Dunque una fede. Al pari di tante altri, no?

Proprio sul relativismo, ovvero sul non considerare come definitiva nessuna dottrina e come totalmente conoscibile nessuna realtà, si fonda il valore della tolleranza

Solo in apparenza il cristianesimo è una dottrina definitiva. Lo è in quanto conseguenza di una rivelazione. Ma la rivelazione cristiana professa il “già e non ancora”, che caratterizza il Regno di Dio già in essere ma posto definitivamente in un futuro indefinito, già compiuto ora si, ma non pienamente. La rivelazione di cui oggi l’uomo è in possesso grazie alla incarnazione del Figlio e alla rivelazione della natura Trinitaria di Dio pone il cristiano in un stato “relativo” rispetto all’assoluto del qui e ora. Al contrario dell’Islam che pone Dio come inconoscibile e infinitamente trascendente, e quindi tutto quello che l’uomo può fare è solo “accontentarsi del Corano”, nel cristianesimo il processo è una tensione continua: perchè si è vero che Dio è trascendente, è infinitamente altro da tutto ciò che l’uomo può conoscere e sapere, ma è anche vero che essendosi incarnato proprio nell’uomo, pone l’uomo come in transizione fra un oggi ancora non compiuto e un “domani” pienamente compiuto, ma accessibile alla coscienza umana. Il cristiano non è un uomo di certezze (se non appunto relative) ma soprattutto di speranza: di poter cioè accedere a quella verità (“non ancora”) in virtù del Figlio fatto uomo e messo in croce.

Non c’è nulla di più relativizzante del “già e non ancora” per la persona che vive il cammino di fede. Il Battesimo dona la capacità di credere e di vivere nel corpo della Chiesa, ma non assicura la salvezza, che è in definitiva l’accesso definitivo alla Verità.

E’ significativo poi osservare come questa affermazione, ripetuta tale e quale da ogni difensore del relativismo, non sia altro che un dogma apodittico, un articolo di fede come tanti altri: indimostrato e indimostrabile come tutti i dogmi di fede, appunto. Come se non fossero mai esistite persone tolleranti nelle più disparate tradizioni religiose, dai martiri cristiani (che l’intolleranza l’hanno subita e la subiscono ancora oggi) ai santi più noti e famosi a Gandhi allo stesso Budda: non mi pare fossero persone che credevano nel relativismo.

E il relativismo così presentato non può forse, a buon ragione, produrre intolleranza verso tutte le fedi diverse dalla propria? In definitiva verso tutto ciò che non è relativista? Evidentemente non se ne esce facilmente da questo “loop”. Questo perchè la violenza e l’intolleranza ha radici molto più profonde che non una certa fede piuttosto che un’altra. Ha a che fare con l’oscurità e gli abissi più profondi dell’essere umano, che ogni sana iniziazione dovrebbe cercare di smascherare e come, per il cristiano, fa magistralmente (citando René Girard) proprio la vicenda di Cristo, il suo processo, la sua condanna.

io accetto come significativa l’esperienza esistenziale e di pensiero di un altro essere umano proprio perché so che essa è portatrice di significato (potremmo dire di una parte della verità) e non può mai essere totalmente falsificata da nessuna pretesa verità assoluta.

Per il cristiano la Verità non è un concetto o una dottrina. Questa è la prima vera novità sconvolgente. Che ogni essere umano sia portatore di significato mi permetto di dire con assoluta evidenza storica che è un concetto introdotto nell’umanità dalla tradizione ebraica prima e cristiana poi. Quindi siamo d’accordo. Essa però non ha bisogno di essere “falsificata” da una “pretesa verità assoluta” perchè questa non è altro che la persona di Gesù. Dunque la verità non sta in un concetto ma in una relazione. Questa relazione non falsifica il significato della persona ma anzi lo riempie e lo esalta: perchè l’incarnazione fa Dio uomo. Gesù non era Dio al 50% e uomo al 50%. Ma Dio al 100% e uomo al 100%. Questa differenza non è una questione di lana caprina, ma ha effetti giganteschi.

Se si concepisce la Verità come concetto e non come relazione, essa è certo fonte di perenne problematicità. Non che la relazione sia esente da problemi, ma è decisamente su un altro livello.

Nessuno possiede la verità, ma tutti siamo portatori di senso. Il valore di questa consapevolezza filosofica è immenso ed è la base di una società tollerante, aperta e inclusiva.

Una società senza alcuna verità definitiva finirà per conformarsi al potere dominante: se infatti ogni opinione è infondo intercambiabile e alla fine non c’è nulla di definitivo, quale opinione finirà per essere alla fine dominante? Beh… basta osservare le dinamiche sociali moderne per rendersi facilmente conto che non può che essere il potere imposto con la pubblicità, i mass media, gli interessi finanziari a vincere per il semplice fatto che ha il potere della dissuasione che non trova più vincoli morali “definitivi”. Se tutto può essere aggirato e messo in discussione allora tutto può essere fatto merce, desiderio, mercato. Una tale società si potrebbe forse chiamare tollerante? Ho i miei dubbi, ma se anche lo fosse di certo non sarebbe giusta.

La giustizia: spesso la tolleranza viene venduta come un valore in se: è un grave errore, un sostanziale bias cognitivo, come se fosse automaticamente “una cosa buona”: in realtà non lo è. A ben vedere lo è è solo in quanto mezzo per raggiungere una maggiore giustizia. Ed è su questa che bisognerebbe concentrarsi: sui fini non sui mezzi. Insomma che ci facciamo con questa tolleranza? Quale è il vero obiettivo che vogliamo ci porti? Questa è una domanda che i relativisti non si chiedono mai davvero.

Mi rimane difficile immaginare un modello più tollerante, aperto e inclusivo di Gesù Cristo. Basta la sua biografia. E non mi pare affatto un tipo relativista, diciamo.

A meno che quando si parla di tolleranza, apertura e inclusività non ci si riferisca al potere del mercato e dei media: poteri che Gesù senza mezzi termini chiamava “di questo mondo”.

Oltre a ciò, esiste un profondo valore spirituale nel relativismo. Esso infatti preserva la consapevolezza del carattere trascendente della verità: la verità è trascendente e mai totalmente afferrabile dell’uomo, neppure lontanamente, e proprio per questo ogni esperienza umana si configura come un contributo imprescindibile per avanzare in quel percorso affascinante e mai concluso che è la ricerca della verità.

Sembra che chi abbia formulato queste tesi abbia preso la dottrina cristiana, e abbia sostituito “Dio” con “relativismo” e “Gesù Cristo” con “Verità”. Insomma una operazione poco originale. Una fascinosa contro-figurazione, direi.

Noi non conosciamo mai la verità nella sua totalità, ma accade qualcosa di molto più importante: noi siamo la verità.

E’ proprio così! Non la conosciamo totalmente perchè la attendiamo nella rivelazione finale, il Regno di Dio compiuto. E “siamo” la Verità proprio perchè la Verità si è fatta uomo! Conferma di quanto appena detto: la confro-figurazione del relativismo.

Il fatto che sistemi di pensiero non relativistici non abbiano mai generato società prive di violenza…

Questo è davvero opinabile: quasi tutto l’oriente ha una visione fondamentalmente relativistica, che spesso tende a includere tutte le fedi i una unica “verità”. Ma la storia umana mostra che le violenze e le intolleranze ci sono sempre state eccome, anche se in altre forme. E le guerre sanguinarie propriamente dette ci sono state eccome.

… anzi, il fatto che su di essi si siano fondati poteri repressivi e intolleranti, dimostra che il rispetto della dignità altrui non dipende dalle pretese filosofiche di conoscenza della verità, quanto piuttosto dalla capacità umana di provare empatia e amore per ciò che è umano al di fuori di sé e dentro di sé.

Qui c’è una contraddizione finale che conferma quanto detto sopra: che cioè anche il relavisimo in quanto “pretesa filosofica” fra le altre non garantisce assolutamente nulla. Eppure si sostiene la sua superiorità sulle altre impostazioni filosofiche o di fede. Sulla base di cosa, se non a sua volta di una fede?

Ecco la contraddizione del relativismo: si presenta come “umile pensiero” ma alla fine non è neanche in grado di mostrare la sua supposta superiorità. Il cristianesimo invece non è una filosofia e non si preoccupa di mostrare una superiorità con questioni argomentative o dialettiche (anche se non si possono escludere del tutto, come sto facendo in queste righe ad esempio), perchè, concludendo con la parole di Benedetto:

All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una presenza, con una persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, una direzione decisiva.

(Deus Caritas Est , Benedetto XVI)

Chissà se il nostro Gallarino ha mai letto “Fede, Verità, Tolleranza”, libro di Ratzinger di grande successo che affronta proprio di queste domande; sarebbe interessante aprire un dialogo e un confronto sulla base di quello che egli ha veramente detto e scritto sull’argomento e non sulla percezione che se ne ha.

Il lato oscuro dei «poteri forti»

La Nuova Umanità non ha bisogno tanto di contestatori, ma di praticanti la giustizia. Se vi sono poi buoni contestatori, sappiano allora farlo in funzione di essa. La contestazione fine a se stessa, perfino se fondata da solide ragioni, è pura vanità dell’ego.

Colpa dei «poteri forti»! Quante volte lo abbiamo sentito come argomento in ogni sorta di contesto dei moderni contestatori? Fino a rendere l’espressione quasi una macchietta per prendere in giro contestatori della buon ora senza sostanza e senza veri contenuti.

Chiariamo una cosa una volta per tutte: i poteri forti sono sempre esistiti. Dall’antico Egitto con il Faraone, oppure con Serse, Ottaviano Augusto con la sua classe senatoriale corrotta e predatoria. La nobiltà laica e clericale in Europa parassita per secoli, la cui fine inizia con la violenza delle ghigliottine giacobine. L’unità d’Italia non è stata forse fatta anche per motivi finanziari, di debito, e con intrighi con i banchieri Rothschild? Durante la guerra fredda erano gli apparati ideologici di USA o l’URSS. Potrei continuare a lungo, ma ci siamo capiti.

In ogni tempo, in ogni epoca c’è sempre una qualche classe di persone la cui distanza socio-economica, la cui sconfinata distanza fra il potere che è a lui o a loro in mano e l’uomo della strada è considerato (almeno ai nostri occhi moderni) scandalosamente abissale e inaccettabilmente spropositato.

Chiesa cattolica e otto, cinque, due per mille come non ve l’hanno mai spiegato

 

 

Come sempre quando mi metto a indagare, grazie ai soliti input di colleghi che alzano certe obiezioni, spesso basate su sentito dire e discorsi fatti, vengono fuori cose nuove che non sapevo, e interessanti.

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Il «buio» medioevo: si, mediatico e culturale (1)

Lezione di filosofia nella scuola di Roma da un affresco del pittore fiorentino Benozzo Gozzoli (secolo xv). chiesa di Sant'Agostino a San Gimignano (Siena).
Lezione di filosofia nella scuola di Roma da un affresco del pittore fiorentino Benozzo Gozzoli (secolo xv). chiesa di Sant’Agostino a San Gimignano (Siena).

Pausa pranzo. Argomento matematica e storia. Si finisce affermando che lo sviluppo europeo della matematica riprende nel Vecchio Continente solo con Tartaglia e Fibonacci mentre prima i grandi progressi sono fatti da Arabi e Indiani granzie anche a traduzioni dal greco mentre in Europa si continuava a far di conto con i numeri romani. Un illustre collega esordisce affermando che a suo avviso il millenarismo medievale – ossia la credenza religiosa che la fine del mondo fosse imminente – fosse stato il principale ostacolo allo sviluppo medioevale, a un sostanziale disinteresse per le cose della natura e che abbia sostanzialmente “fermato” il progresso per lunghi secoli.

A me è sembrato subito un cliché alimentato da un pregiudizio comune che vede il medioevo come «epoca buia» in qualche modo molto veicolato dai media ma poco presente, anzi smentito, nei trattati di storia almeno recenti che abbiano un certo spessore scentifico e non solo divulgativo. L’ho sospettato perchè questa visione mi sembrava cozzasse completamente con la Storia della Chiesa (di cui so qualcosa), con la Tradizione cattolica, con la dottrina Patristica e i confronti-scronti con le varie eresie lungo i secoli. Non fidandomi troppo di me stesso mi sono dato a una ricerca di fonti affidabili sulla filosofia medioevale e non ha evidenziato nessun peso rilevante al millenarsimo. Anzi è emerso tutt’altro. Leggi tutto “Il «buio» medioevo: si, mediatico e culturale (1)”

Dicemmo al pio prompt d’eseguir comando

[Dedicato a colui che entrando in istanza di travajo faceva con celia e simpatica provocazione con battute commentava circa la sofferenza cristiana che bisognasse patire per raggiunger certe virtù]

—–

Dicemmo al pio prompt d’eseguir comando:

# egrep -ir "sofferenz" CatechimoChiesaCattolica/ SacraScrittura/

 

Ma nessun dell’ occorrenze risultanti

allineavansi con quanto da Voi, al riguardo, in nostra stanza addotto,

seppur con baldanzosa celia.

 

C’incuriosisce saper come s’appellava il Vostro illustre catechista,

qualor n’aveste avuto.

Ma soprattuto con qual razza di base dati

siete solito condur certe “greppanti” interpellanze (?)

 

Ci preme in tal circostantia ricordar come sovente

tal direttori che chiamansi “SentitoDire/” “TV/” “Stampa/”

“OsservazioniDistratte” , “Pregiudizi/” , “ChiacchiereDaBar/”

et “LuoghiComuni/”, et simil schiocchezze, sovente

son causa di gran confusione, falsezze et ignorantia.

Sconsigliansi fortissimamente il lor uso.

 

Se più riccamente vuolsi tal interrogazione,

caldamente consigliansi, all’uopo, aggiunger piu prudentemente,

codesti direttori che volentier raccomandiamo alla Vostra attenzione,

e che chiamansi “FedeVissuta/” , “Testimonianze/” e

in secondo modo anche “Magistero/”.

Non manchi, alfine, il raccomandatissimo “VitaDiSanti/”.

 

Ossequissimamente Vostro,

F.S.

—-

Più seriamente:

 

Mi pare che sia un fatto (sperimantale!) che la sofferenza è una condizione umana, dunque soffre tanto chi crede quanto chi non crede.

Chi però, nella fede, per grazia e libertà, arriva a soffrire con la prospettiva che è propria alla fede in Cristo Gesù, lo fa in modo che tale la sofferenza è anche gioia per se e dono per gli altri. E che questo sia fattibile mi sembra un fatto sperimentalmente misurabile, al di la delle credenze personali.

Il paradosso Cristiano sulla sofferenza è tutto qui: si può essere afflitti, ma sempre lieti [1] . Altro che “bisogna soffrire!”.

La sofferenza può essere anzitutto alleviata  [2] e non è mai voluta o cercata di per se [3]. Certo non è proprio un’economia a buon mercato, ma è possibile perchè altri, uomini come noi, l’hanno vissuta mostrandola come percorribile in quel modo [4]. Ripeto: questo è un fatto osservabile, al di la delle credenze personali.

La prospettiva va dunque ribaltata: se perfino la sofferenza può essere grazia (se vissuta nella giusta direzione) allora ogni cosa può essere grazia, quindi vissuta come un bene. E’ questa una grande speranza, non teorica, non concettuale, non illusoria, ma concreta e vissuta, anche se contemporaneamente orientata “al mondo che verrà” [5].

La sofferenza invece baldanzosamente presentata come “necessaria” mi è parso puro masochismo, fine a se stesso.

La fede cristiana non è una idea, una teoria, una filosofia o una bella storia del passato, ma anzitutto un evento, un fatto che accade [6].

Grazie per avermi dato la possibilità di scrivere questo.

Rif:

  1. 2 Cor 6,10
  2. “il mio giogo è dolce e il mio carico  leggero”, Mt 11,30
  3. “allontana da me questo calice!” in Lc 22,42
  4. aka “Santi”
  5. Simbolo Niceno-costantinopolitano
  6. DEUS CARITAS EST, § 1

Da Benedetto XVI a Francesco: ovvero dalla scuola al lavoro

Benedetto XVI e Francesco: due papi contrapposti dai media; Con quali fondamenti? La logica cattolica dell’ et-et non è compresa dalle logiche mondane. Una parabola dalla scuola al lavoro.

Una foto scattata da cellulare durante in ritorno in pulmino a Santa Marta subito dopo l'elezione di Papa Francesco
Una foto scattata da cellulare durante in ritorno in pulmino a Santa Marta subito dopo l’elezione di Papa Francesco

Di tutte le foto dell’evento straordinario, storico, circa l’elezione di Papa Francesco ho scelto questa qui sopra. Molti i primati fatti notare: primo papa gesuita, primo americano etc, etc.. e anche primo papa “informalissimo”, dico io, se escludiamo quelli dei primi secoli, su cui non sappiamo gran che.
La foto mi ricorda le gite di scuola quando, salendo sul bus, si faceva a gara per prendere gli ultimi posti. All’epoca non c’era il cellulare, ma se ci fosse stato la foto sarebbe più o meno così: volti sorridenti, foto sgranata, proprio come fosse fatta da un adolescente esuberante.
E invece è un gruppo di cardinali in ritorno dal conclave, e con il Papa che preferisce stare con loro (mi ricorda lo “stare” di Gesù con i suoi discepoli di cui parla l’evangelista Marco) piuttosto che l’auto a lui riservata: me lo immagino il cardinale che scatta la foto, e poi la scarica da cellulare e gli fa fare il giro del mondo: con i mezzi di oggi bastano pochi secondi. Leggi tutto “Da Benedetto XVI a Francesco: ovvero dalla scuola al lavoro”