Chiesa cattolica e otto, cinque, due per mille come non ve l’hanno mai spiegato

 

 

Come sempre quando mi metto a indagare, grazie ai soliti input di colleghi che alzano certe obiezioni, spesso basate su sentito dire e discorsi fatti, vengono fuori cose nuove che non sapevo, e interessanti.

POST-NOTA: a seguito di una segnalazione (vedi commenti) parte dell’articolo è stata rettificata in seguito con barramento in quanto tali parti risultano obsolete, le ho comunque lasciate per rispetto del post storico.

L’argomento era l’8‰ alla Chiesa Cattolica. Hai hai hai… bla bla bla… la polemica verte ovviamente sul fatto che la Chiesa Cattolica avrebbe un indebito vantaggio da questo sistema.

Ecco il risultato delle mie analisi. Vediamo di capire come funziona questo 8‰ spiegato da due punti di vista differenti.

Rosso mio.

dal sito della CEI [1] (in blu il grassetto loro)

In base alla dichiarazione annuale dei redditi, una quota pari all’8xmille del gettito complessivo che lo Stato riceve dall’Irpef, viene usata per scopi “sociali o umanitari” a gestione statale oppure “religiosi o caritativi” gestiti da confessioni religiose. Sta a te scegliere la destinazione di questa quota tra: lo Stato o la Chiesa cattolica o le altre confessioni religiose.

La ripartizione dei fondi si fa esclusivamente in proporzione alle scelte espresse e quindi senza tenere conto degli “astenuti”. Esempio: se il 60% dei contribuenti esprime una scelta, si terrà conto delle preferenze di quel 60%. Quindi lo stato ripartisce l’intero 8xmille senza che l’astensione di alcuni ne sottragga alla ripartizione una parte.

Tutte le firme hanno lo stesso valore (non dipendono dal reddito).

E attenzione, non si tratta dell’8xmille dell’Irpef versata da ciascun contribuente, ma dell’8xmille del gettito complessivo che lo Stato riceve da questa imposta.

invece (i simpaticissimi!) dell’ UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) nella loro documentata e analitica polemica [2] che è anche una battaglia politica per loro portabandiera, scrivono:

Il meccanismo dell’otto per mille è apparentemente trasparente: ogni cittadino che presenta la dichiarazione dei redditi sceglie se destinare l’8‰ della propria IRPEF allo Stato, alla Chiesa Cattolica, agli Avventisti, alle Assemblee di Dio, ai Valdesi, ai Luterani, agli Ebrei, ovvero se non operare alcuna tra queste scelte.

A riprova che non è un refuso, insistono più avanti [2]:

Muovendo dal presupposto (ovvio, per la verità) che chi desidera destinare l’otto per mille della sua IRPEF alla Chiesa Cattolica lo può fare (e in effetti lo fa) apponendo semplicemente una firma sul frontespizio della dichiarazione, si può desumere la considerazione (altrettanto ovvia) che chi non appone la firma non vuole quella destinazione…..

E’ evidente che CEI e UAAR dicono due cose molto diverse (cfr rosso). Chi avrà mai ragione?

Senza andare a cercare nel marasma del legalese delle leggi facciamo prima a vedere cosa dice l’Agenzia delle Entrate: [3]

I contribuenti possono destinare:

  • l’8 per mille del gettito Irpef allo Stato oppure a un’istituzione religiosa
  • il 5 per mille dell’Irpef a determinate finalità di interesse sociale.

Notare la differenza d’espressione usata, non casuale.

In realtà anche gli amici dell’ UAAR partono bene quando citano letteralmente la legge (e come non potrebbero?) [2] :

L’otto per mille, […] è il meccanismo con cui lo Stato italiano, attraverso la scelta dei contribuenti, devolve l’8‰ del gettito fiscale IRPEF allo Stato, alla Chiesa Cattolica o ad altre confessioni religiose, per scopi definiti dalla legge.

e così si contraddicono alla grande! Ma tanto… chi se ne accorge?

Ora, si può essere oggettivamente d’accordo con una visione piuttosto che un’altra: destino una quota del gettito? O del personale imposta reddituale?

Abbiamo intanto dimostrato che la Chiesa Cattolica Italiana dice le cose come stanno davvero. l’UAAR mente e non è neanche tanto bravo a farlo, visto che cade in contraddizione.

Ma andiamo avanti nell’analisi.

La differenza fra 8‰ e 5‰ è che la prima è “l’espressione di un voto, a carattere democratico” come fosse un referendum giacche impatta su tutto su l’8‰ di tutto il gettito complessivo IRPEF, non su l’8‰ del proprio IRPEF. Ed è quindi conseguenza ovvia e inevitabile che i voti inespressi vengano redistribuiti esattamente come il risultato di elezioni parlamentari non cambierebbero la distribuzione partitica se le persone che non hanno votato votassero proporzionalmente allo stesso modo di chi lo ha fatto.

Se vediamo le cose in modo oggettivo senza farci prendere da polemiche ideologiche e faziose possiamo ravvisare vantaggi in entrambi gli approcci:

Il criterio 8‰ ha il vantaggio di riconoscere un valore a una certa categoria di organizzazioni a prescindere da questioni di censo (un voto, una quota) e a prescindere da chi abbia o no espresso il voto. Questo vuol dire che una organizzazione religiosa non sarà avvantaggiata se concentra contribuenti particolarmente facoltosi e non sarà penalizzata se ha contribuenti particolarmente disattenti o poco motivati. E’ un approccio più popolare e più orizzontale che distribuisce le risorse sul numero di (presunti) “fedeli/affiliati/simpatizzanti” che esprimono una destinazione piuttosto che dare peso al loro potere contributivo. E’ dunque un approccio democratico, come un referendum senza quorum. L’approccio vuole tenere conto anche dei voti inespressi perché magari non tutti fanno la denuncia dei redditi, o non la esprimono per ignoranza o per inedia – si pensi ai tanti pensionati minimi che non ci pensano neanche a fare la denuncia dei redditi ne a compilare l’apposito modulo 5-8-2‰ all’ ufficio postale, molti neanche lo sanno; e allora di queste persone si “presume” una redistribuzione pari a quella espressa dagli altri. Come alle elezioni del parlamento.

Si potrebbe obiettare che si potrebbe ancora applicare un 8‰ anziché al gettito complessivo IRPEF solo a quello espresso a favore di qualcuno, ma ancora una volta andrebbe contro lo spirito della legge di cui sopra che invece intende riconoscere a questa categoria una quota del gettito complessivo. E anche si introdurrebbe una stortura per cui la differenza di censo fra chi esprime e chi non esprime determina il gettito complessivo trasferito a questi enti. Notare che essendo tipicamente la popolazione più povera a non esprimersi normalmente (non compila la denuncia dei redditi) è proprio questa fascia che rimarrebbe fuori dal contributo a queste organizzazioni, con conseguente discriminazione.

Il criterio del 5‰ invece non è democratico ma censocratico: ha il vantaggio di dare importanza alla quota in se e al fatto che il cittadino-contribuente può veramente dire di “dare i suoi soldi” a quella organizzazione anche se materialmente non sborsa nulla. Sono però avvantaggiate le organizzazioni che riescono a convincere anche pochi ricchi piuttosto di quelle che la prendono da un ugual numero di poveri.

Posso condividere l’anomalia a favore “de facto” della Chiesa cattolica, ma solo come maggiore beneficiario e non come vera stortura che di fatto non c’è e che comunque è risultante da una posizione equitaria. Come invece denunciano le tabelle dell’UAAR (che non ho verificato, ma sarebbe divertente farlo)… ma mi chiedo perché è necessario – per convincere – dire una cosa per un’altra?

E persevera nel mentire [2]:

È proprio in quest’ultima eventualità, tuttavia, che si annida la parte “non trasparente” della questione; perché tutte le quote dell’8 per mille per le quali non è stata esercitata alcuna scelta (che costituiscono decisamente la maggioranza) non rimangono acquisite al normale gettito fiscale (come sarebbe lecito attendersi),

Quando invece l’attesa è perfettamente lecita, visto che lo spirito della legge è proprio quello che ho spiegato sopra, ma questo viene occultato distorcendolo.

C’è poi un’altra situazione, come la stessa UAAR fa notare in una solitaria nota a pie di pagina [4] – che evita di spiegare – viene da questioni di trattati bilaterali, con rango di trattato internazionale sul piano del diritto; a questo lo Stato Italiano non può venir meno senza dover prendere i soldi da qualche altra parte: e allora non è irragionevole prenderli comunque dall’ 8‰ visto che almeno è stato espresso un orientamento democratico.

La frase incriminata è della legge 27 maggio 1929, n. 810, Art. 30 [4] che ratifica il trattato internazionale:

Lo Stato italiano, finché con nuovi accordi non sarà stabilito diversamente, continuerà a supplire alle deficienze dei redditi dei benefici ecclesiastici con assegni da corrispondere in misura non inferiore al valore reale di quella stabilita dalle leggi attualmente in vigore.

La domanda forse è: cosa succederebbe se l’ 8‰ alla Chiesa Cattolica andasse sotto certe soglie? E quali sono queste soglie? L’espressione “valore reale” immagino faccia riferimento a qualche cifra risalente al tempo, e che necessita evidentemente di rivalutazioni inflattive (quanto?).

Ecco queste sono domande interessanti che avrebbe senso porsi, se proprio si vuole polemizzare con un minimo di cum grano salis contro la Chiesa Cattolica. Domande che, però, non vedo porre in giro….

Un possibile scenario di riforma potrebbe essere di applicare la regola dell’ “ultima scelta, ultima valida” ovvero qualora una dichiarazione dei redditi non esprima scelta, vale quella espressa più recente. Questo è ragionevole nel caso dell’ 8‰ in quanto si presume che l’appartenenza religiosa sia stabile negli anni. Non così per il 5‰ e 2‰.

Notare che se le quote inespresse dovessero essere considerate come devolute allo Stato si avrebbe una stortura per cui lo Stato sarebbe avvantaggiato dalle scelte inespresse, tradendo lo spirito della legge che invece si era proposta di devolverle alle organizzazioni religiose. La scelta “pro-Stato” deve si essere assolutamente presente per consentire legittimamente a chi non vuole devolverla a quelle organizzazioni, per rispetto pluralista, ma non deve neanche essere avvantaggiata rispetto alle altre scelte. Si avrebbe cioè la situazione paradossale che una legge fatta a favore delle organizzazioni religiose finirebbe per equiparare la scelta “non-religiosa” (pro-Stato) alla scelta inespressa. Da un punto di vista della par condicio di tutti i cittadini, quindi, non è irragionevole redistribuire in modo equo (pro-Stato compreso! come infatti già avviene) le scelte inespresse.

Dovrebbe essere la stessa cosa anche per il 5‰ ? Perché no? Io direi di si. Però bisognerebbe mettere un po’ d’ordine e più rigore alle organizzazioni che accedono: sono oggi troppe e poco controllate quelle che ne possono beneficiare.

E per il 2‰ ai partiti?…. a pensarci bene… anche! Personalmente non ho mai visto di buon occhio l’abolizione tout-court del finanziamento pubblico ai partiti: era da riformare, non da abolire; si è finito per gettare il bambino con l’acqua sporca. Il problema di come si finanziano i partiti e di quale controllo di orientamento abbiano i cittadini è grave e sottovalutato dal dibattito civile.

Il meccanismo del 8‰ – da estendere al 5‰ e 2‰ – esprime secondo me un concetto importante: la legge sancisce da parte sua l’importanza di finanziare un certo ambito (religione, partiti, enti benefici) con un quota e si impegna a versare quel ‰ a quell’ambito. Nel distribuirlo però lo fa all’interno di un certo insieme di organizzazioni controllate secondo una redistribuzione pesata sulle scelte espresse democraticamente, senza discriminazioni di censo. Mi pare sia anche ben in linea con i principi costituzionali.

Dove sarebbe mai questa mancanza di trasparenza?

Infine non ci vuole una grossa capacità matematica e sociologica per intuire che questo meccanismo redistribuivo delle preferenze non espresse non può che avvantaggiare in primis le piccole organizzazioni: infatti in ogni realtà sociale sono le minoranze, soprattutto religiose, a essere coese e solidali verso le proprie organizzazioni istituzionali, certamente meno di quanto lo possano essere quelle più “di massa”. Possiamo quindi ben supporre che se le persone che non si sono espresse lo facessero, farebbero diminuire certamente le quote verso le minoranze le quali hanno già verosimilmente espresso la totalità del proprio potenziale. Quel 60% che non si esprime andrebbe sicuramente quasi a favore o della Chiesa Cattolica o dello Stato: forse cambierebbe il rapporto fra questi due, ma è difficile dire come.

Alla fine dov’è infondo il vero problema, se non un pregiudizio ideologico verso la Chiesa Cattolica?

Riferimenti:

[1] www.8xmille.it/Chi_Siamo (sezione “Come funziona”)
[2] Brevi annotazioni sull’otto per mille, UAAR
[3] Pagina dell’8 e 5 per mille dell’Agenzia delle Entrate
[4] vedi “Nota 1” di [2] ovvero articolo 30 della Legge 27 maggio 1929, n. 810

2 pensieri riguardo “Chiesa cattolica e otto, cinque, due per mille come non ve l’hanno mai spiegato”

  1. Pagina interessante, che leggerò con più calma. Permettimi un appunto, però: se invece di consultare una vecchia pagina dell’UAAR in cui è scritto chiaramente «Questa pagina è stata aggiornata più di tre anni fa: i contenuti potrebbero non essere più accurati. Buona lettura!» avessi consultato quella giusta (https://www.uaar.it/laicita/otto-per-mille/#03) avresti scoperto che i simpaticissimi dell’UAAR scrivono _esplicitamente_:

    «Ogni cittadino che presenta la dichiarazione dei redditi può scegliere la destinazione dell’8 per mille del **gettito IRPEF** tra dodici opzioni […]
    **In realtà nessuno destina il proprio gettito: il meccanismo assomiglia di più ad un gigantesco sondaggio d’opinione, al termine del quale si “contano” le scelte, si calcolano le percentuali ottenute da ogni soggetto e, in base a queste percentuali, vengono poi ripartiti i fondi.**»

    Inoltre, incidentalmente, sempre nello stesso articolo sono elencate le ragioni per cui, secondo l’UAAR, il meccanismo andrebbe abrogato, magari sono le stesse che hai commentato nell’articolo, magari no.

    1. Grazie della segnalazione. In effetti è proprio come dici: il sito presenta molte pagine, un po’ caotiche, e io mi sono lasciato prendere troppo dal rank di Google. Ne faccio tesoro e rettifico volentieri.

      Tuttavia ritengo che le argomentazioni riguardo “approccio democratico” contro “approccio censocratico” rimangono valide; sono (ovviamente) ignorate da UAAR il quale come si legge dalla pagina che tu stesso segnali, hanno altri tipi di approcci e il problema per loro (lo ammettono apertamente, bisogna dargliene atto) non è l’otto per mille in se, ma qualsiasi tipo di finanzialmento religioso in se in quanto ammettono che la religione dovrebbe essere finanziata solo ed esclusivamente dai rispettivi fedeli. Affermano a parole di voler equiparare la religione a “forme di finanziamento privato”, ma allo stesso tempo non dicono che tutte le forme private di associazionismo civile non dovrebbero (per lo stesso principio) non avere finanziamenti provenienti dalle tasse di alcun tipo. Dunque il loro è problema solo con la religione, in aperto contrasto con i principi di non discriminazione religiosa che pure a parole dicono di difendere: un modello di laicità contrario alla stessa Costituzione, per dire. Ma questo è un problema dell’UAAR, e va oltre il tema dell’ 8xmille.

      Grazie per le tue osservazioni.

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