“Si vuol dire si”: Maria la prima; ma qualcosa non torna…

Un simpatico meme gira sui social con questa immagine che ironizza efficacemente sul “presepe inclusivo e laico”, ne ho trovato una copia qui.

Un passaggio recita:

Non contiene Maria, perché propone l’immagine di una donna prona al patriarcato.

Essere un popolo “molto cattolico”, come quello italiano, comporta un prezzo molto alto: il maggiore tasso di ignoranza di vera cultura cattolica fra la popolazione; è il prezzo da pagare; lo stereotipo lo conferma.

«non horruisti virginis uterum» recita il Dies Irae Te Deum, ovvero “[Dio] non ha disdegnato l’utero di una vergine”; e, udite udite!, perfino questo Dio, patriarcalissimo, chiede permesso a questa giovane donna, di una famiglia sconosciuta: “scusa posso incarnarmi nel tuo utero? Ne avrei bisogno per salvare l’umanità”. Lei non capisce proprio bene, e si permette anche di fare qualche domanda ulteriore: “come diamine funzionerebbe ‘sta cosa qui?”. Dio le spiega, e alla fine ottiene il suo assenso; e solo dopo si permette di agire. Altro che il “si vuol dire si” dei perbenisti di oggi: mica se lo sono inventato loro, Maria lo ha esercitato un bel po di tempo fa, dando il primo esempio.

Ho una curiossità-domanda molto semplice, se solo qualcuno potesse spiegarmi: come cavolo ha fatto una società che patriarciale era prima, e patriarcale ha continuato ad esserlo dopo, e patriarcalissimo sarebbe quel Dio, a inventarsi una storia del genere? E non solo: fino al punto da farla diventare una storia così importante nella narrazione fondamentale di una intera religione “patriarcalissima”. A me qualcosa non torna…

Società liquida

breve favola sulla “società liquida” di questi tempi

Una roccia che passava la sua vita sul bordo dei flutti del mare disse un giorno al dio Poseidone:

com’è triste la vita nella mia rigidità, forma contratta e immutabile, senza libertà senza espressione e variazione. Come sarebbe bello cambiare forma, tutta malleabile e gaia. Non è la staticità il mio desiderio di libertà ma nel plasmarmi libera e soave senza questi vincoli strutturali, perché sempre uguali a se stessi.

Ogni volta che vedo le onde muoversi liberamente penso alla mia libertà perduta al mio essere ferma, senza cambiamenti. Oh come invidio, Poseidone, l’acqua dei tuoi mari sconfinati! Come sarebbe bello assumere forme ogni volta diverse!

Il mondo cambia sempre e così posso cambiare io con lui, e così essere in armonia con tutto il resto; basta questa durezza e questa immutabilità così antica e oppressiva! Voglio essere libera! Come l’acqua, e assumere la forma ogni volta diversa e finalmente godere senza vincoli! Ti prego, o Poseidone, tu che comandi le acque, trasformami in acqua pura!

E così fu: la roccia fu tramutata in acqua che si disciolse in tutto il mare e con essa si confuse.

Ma qui conobbe tante altre antiche rocce, ossa, legni e diamanti che come lei erano state tramutate dal potente dio in acqua, poiché avevano fatto la stessa preghiera al dio del mare, lo stesso desiderio di libertà.

E tutti dissero all’antica roccia: oh se sapessi cosa ci attende! Tutti in un miscuglio confuso e tremendo! Non abbiamo vera libertà di assumere alcuna forma, perchè la forma che dobbiamo avere è quella decisa dal contenitore che ci contorna. Se presi in un secchio abbiamo la forma di un secchio, poi gettati di nuovo nel mare, e poi tornare nella confusione e nel miscuglio. Se presi in un bicchiere dobbiamo assumere la forma di un bicchiere, se presi in un barile la forma di un barile. Se in un lago la forma di quel lago, se nel mare l’immensa forma del mare. Non c’è nessuna libertà in questo stato!

Questo dio Poseidone dice subito di si, ma poi è un padre severo!

«Verranno i russi e staremo meglio»

Riporto, senza commenti ulteriori, un accadimento di oggi che mi ha molto colpito: l’incontro e una battuta fugace con una signora “russa di Odessa”.

Oggi sono andato al lago di Albano con la famiglia e i bambini. Bagno, pranzo al sacco; giornata tranquilla, serena. Nel pomeriggio arrivano nella nostra piccola “spiaggetta” due signore bionde con un ragazzino sui 10 anni, biondissimo anche lui.

“Saranno ucraini”, mi suggerisce mio fratello, “qui ci sono molti profughi ucraini”. Infatti poco dopo sento il bambino dire a una delle donne “spasiba” dopo che gli aveva passato una tavoletta galleggiante in acqua. “E’ il grazie in russo, ma potrebbe essere anche ucraino”, penso, “visto che le lingue sono molto simili”. Passa il tempo, noi continuiamo la nostra gita, qualche sorriso fugace scambiato con le vicine.

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Recensione “Essere John Malkovich” (film, 1999) [spoiler]

un film strano, con chiavi di lettura ambigue e a tratti inquietanti

Ieri ad un cineforum ho visto questa commedia dell’ormai lontano 1999.

Vado direttamente alle conclusioni del finale e alla “morale” del film, si perchè sono sempre fermamente convinto che nessuna opera (libro, teatro, cinema) sia neutra, ma vi è sempre in se una qualche visione del mondo (Weltanschauung) una qualche forma di “bene” e “male” implicitamente presente nell’opera.

Non necessariamente tutti vedranno la stessa, e non necessariamente è quella che volevano trasmettere i registri/sceneggiatori/produttori.

Provo a dire la mia.

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Salvezza da che cosa ?

Twitter ispira domande serie. Dalle esternazioni di MedBunker sul vino alle domande più serie di ‘Cristiano’. Da che cosa dobbiamo essere salvati?

Un paio di thread su Twitter mi portano a una riflessione più ampia per cui ho bisogno di più spazio e parole per argomentare meglio. Oltretutto una domanda – che ho avvertito come sincera – di un certo ‘Cristiano‘ mi ha indotto a fermarmi, meditare un poco, spendere qualche minuto in più per esprimermi. E lo ringrazio di questa opportunità.

Tutto è partito da una mia reazione – ad essere onesti polemica – al seguente tweet di un certo “Federico Ronchetti” che reagiva – a sua volta polemicamente – a un titolo di stampa (come al solito travisato dai giornalisti, ma sorvoliamo) sul “testamento spirituale” di Benedetto XVI (reperibile integralmente sul sito vaticano).

https://twitter.com/bzimageit/status/1609346347500544001?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

In questo passaggio il Ronchetti mal comprendeva il concetto di “fallimento della scienza” di cui (avrebbe) parlato Benedetto, confondendolo con il metodo sperimentale che fa leva, anche e soprattutto, su fallimenti e approssimazioni successive che consentono l’avanzare della conoscenza secondo il paradigma scientifico moderno.

Oltretutto il defunto pontefice non ha usato quell’espressione, anche se il senso poteva starci, se però adeguatamente contestualizzato. In Italia il giornalismo ci ha purtroppo abituato a dei virgolettati completamente reinventati dai giornalisti, con le conseguenze che ben possiamo immaginare: vengono messe sistematicamente in bocca alle persone parole che non hanno detto. C’è da chiedersi perchè allora usino il virgolettato se le parole sono reinterpretate dal giornalista, ma su questo ci vorrebbe un post a parte.

Vediamo intanto cosa veramente Benedetto ha scritto nel passaggio che il giornalista ha reinterpretato in quel modo:

Spesso sembra che la scienza — le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro — siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza; così come, d’altronde, è nel dialogo con le scienze naturali che anche la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità.

(Benedetto XVI, Il mio testamento spirituale, Agosto 2006 reso noto il giorno della sua morte 31.12.2022)

Dunque il pontefice emerito si riferiva al fallimento non della scienza, ma di un certo pensiero pseudoscientifico (usa infatti l’espressione “sembra che…”) che ammaliandosi di razionalità pretendeva – dall’illuminismo in poi e per tutto il XIX secolo, di falsificare tout-court la fede e i sui argomenti – soprattutto con l’ausilio delle scienze esatte e con una esegesi biblica basata su criteri esclusivamente storiografici – pensando di poter prima o poi essere in grado di dimostrare definitivamente la non sussistenza o infondatezza della fede stessa: in particolare quella cristiana che ha la pretesa di avere, nella figura del Cristo, un fondamento storico preciso. Questo non solo non è avvenuto, ma anzi le scienze naturali non hanno fatto che moltiplicare le domande di fondo rimanendo aperte tutte le domande esistenziali (teorie fisiche della Relatività, fisica quantistica per prime) mentre l’esegesi biblica anche fondata storicamente ha finito per confermare la fondatezza della chiave interpretativa della gran parte dei dati di fede, oppure li ha irrobustiti mediante una adeguata purificazione e reinterpretazione del concetto stesso di rivelazione (dei Verbum, Concilio Vaticano II). “Fondatezza della fede” non va presa come affermazione in senso scientifico-razionalista come se una retta ragione pretendesse di avere un ragionamento o di una dimostrazione razionale della fede: per il credente è infatti solo necessario che la ragione “non falsifichi” propriamente la fede, ovvero che lasci aperto uno spazio, un accesso, una “finestrella sufficiente”, per credere quella fede. La ragione può invalidare la fede solo quanto ha degli argomenti veramente robusti e inconfutabili per negarla, ma non può confermarla. Può solo lasciare uno spazio libero, comunque necessario per non rendere una fede irragionevole (fondamentalismo).

Così sono dunque da interpretare le parole del titolista di giornale che parla di “fallimento“: anche se Ratzinger non parla mai di “fallimento” ne tanto meno “della scienza” ma appunto denuncia e demistifica un pensiero filosofico-ideologico che ha tentato di usare la scienza per la propria agenda. Questa agenda, dice il pontefice, possiamo considerarla oggi fallita, anche se alcuni continuano a insistere con quegli argomenti; ma è indubbio che il loro tono è molto più ridimensionato e meno potente di quanto lo fosse decenni addietro, a causa del fatto che il positivismo razionalista, sebbene goda di importanti influenze pregresse stratificate nella cultura, ha ormai sempre meno spazio non solo nella filosofia, ma anche fra molti scienziati non certo credenti: la fede non è affatto messa all’angolo, ma è ancora qui con le sue domande e le sue questioni aperte.

Nel mio tweet di replica, che segue, ho cercato brevemente di sintetizzare questo concetto e un altro utente a firma “Cristiano” risponde garbatamente con una domanda da un fantastiglione di euro:

Già: salvezza da cosa?

La domanda si fa grossa assai. Impossibile rispondere esaustivamente, ma tentiamo comunque di farlo con qualche argomento spicciolo, a tentoni, senza troppe pretese, ma senza scadere in banalità e frasi fatte.

Partiamo un poco alla larga, prendendo spunto da un altro tweet di questi giorni di un noto “debunker” che si fa chiamare appunto @MedBunker, un ginecologo che da anni è impegnato su internet a sbufalare tutte le false credenze in medicina e che apprezzo moltissimo, e seguo, per il suo instancabile lavoro di corretta divulgazione scientifica (molto bello il suo blog medbunker.it). Come però fanno molte di queste persone, che credono molto nella scienza, finiscono a volte per crederci troppo. Cosa vuol dire? Vediamo un esempio, anche se un po’ banalotto.

Il nostro debunker reagiva a un tweet polemico di Matteo Salvini che polemizzava definendo “gravissima” l’iniziativa de l’Unione Europea che vorrebbe proporre l’imposizione su vino, birre e liquori di un’etichetta che li identifica come “pericolosi per la salute” (un po’ come avviene per le sigarette):

https://twitter.com/bzimageit/status/1614259060219543553?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

Come si evince dalla mia risposta, facevo notare che l’aspetto puramente biologico-medico-chimico della questione è solo uno delle variabili: vi sono anche in gioco questioni sociologiche, culturali, molto diverse da paese a paese che dovrebbero essere prese in considerazione allo stesso modo, invece di pretendere di uniformare il tutto sotto la luce singola di un’unica variabile.

Popoli diversi hanno leggi e regole diverse perchè hanno culture, valori, comportamenti e convenzioni differenti: non si può affermare che una certa scelta sia moralmente superiore (come sembra supporre il nostro debunker) solo perchè sia “scientificamente fondata”. Quando invece la scelta di cosa fare di quel risultato scientifico non è affatto scientifica, ma squisitamente politica. Quando ho fatto notare questa questione la risposta è stata la seguente:

https://twitter.com/bzimageit/status/1614267319446044674?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

ancora una volta il presupposto ideologico che c’è dietro questa argomentazione è che “la scienza” e suoi risultati hanno il completo diritto (in virtù di una supposta superiorità oggettiva e quindi morale) di una precedenza di qualche tipo su altre forme di valutazioni certo non negate, ma in quanto ritenute meno “scientifiche” (cultura, storia…) con meno legittimità argomentativa. Come a dire: “la scienza ha la precedenza e ha il diritto di scalzare gli altri”. Il problema di fondo è che in realtà non esistono “soluzioni scientifiche”, ma solo risultati. Le soluzioni invece sono solo argomenti etici ed in fin dei conti politici, rispetto alla tecnica possibile del momento. Notare come il nostro blogger dia valutazioni di carattere assolutamente morale quando dice “non è gravissimo; è giusto!” dando così definitivamente un valore etico-morale a decisioni presuppostamente ritenute “scientifiche” ma che invece scientifiche non sono affatto; un conto infatti è il risultato scientifico conseguente l’assunzione di alcool, un conto è la decisione su cosa vogliamo fare a valle di questi risultati: qualunque essa sia non avrà nulla di scientifico. La scienza ripete continuamente nei propri paradigmi che essa non può dare risposte né politiche né etiche né di morale né religiose. Eppure molti la usano proprio in quelle direzioni li. Il @MedBunker, ad esempio, dall’alto della sua supposta moralità superiore, non sembra preoccuparsene, e da giudizi morali ed etici sulla base di argomenti scientificamente solo apparenti.

Onestamente non saprei quanto valga la pena di mettere certe etichette sul vino: ma come il lettore avrà capito non è questo il punto.

E qui veniamo al punto, allora: abbiamo disperatamente bisogno di qualcosa, qualcuno, un’idea, una concezione che ci salvi… che ci faccia sentire che, seguendola, siamo, o saremo finalmente al sicuro. In posto di pace, tranquillità e serenità, gioia e felicità. Questa dimensione umana è irriducibile. Più cerchiamo di scansarla, più si ripresenta con tutta la sua forza. Cosa ci farà trovare tutto questo, o una sua parte? Può essere la scienza (una parte della cultura di oggi sembra volerci dire questo). O la tecnologia: il trans-umanesimo, l’intelligenza artificiale che ci darà nuove vie; la ricerca scientifica che ci darà l’immortalità; o l’esplorazione spaziale, che ci salverà fra migliaia di anni da una (presupposta) estinzione inevitabile etc…

Ma cosa centra tutto questo con la domanda del signor ‘Cristiano’ su cosa sia la Salvezza? Da cosa dobbiamo salvarci davvero?

Da cosa vogliamo veramente essere salvati? Infondo infondo, a ben vedere, vogliamo essere salvati dall’ingiustizia o da quello stato che noi percepiamo come ingiusto, distorto, in qualche modo sbagliato che ci sta intorno sempre, in ogni momento. Percepiamo istintivamente e inconfessabilmente che ci siano troppe cose sbagliate a questo mondo per poter essere accettabili. E non è così oggi, da adesso. E’ da sempre: dagli albori della civiltà: ogni nostro antenato, fino ai nostri nonni e ai nostri padri hanno sentito questa percezione; sempre. Ma perchè? Perché tutti percepiamo di essere contornati di una fondamentale ingiustizia? In famiglia, negli affetti, nella società, nello Stato, nella politica, nel mondo? Anche quando siamo davvero da soli non siamo mai soddisfatti: c’è sempre la sensazione costante che ci manca qualcosa di realmente e pienamente appagante. Sono pochi, davvero pochi i momenti di grande e piena gioria, felicità interiore, pace, senso di essere un tutto con tutto che ci circonda. Eppure non facciamo che desiderare continuamente di essere uniti al tutto che ci circonda, e però percepiamo nostro malgrado, di esserne costantemente separati. Gli amori terminano, a volte con delusioni enormi, gli affetti e in nostri sogni e convinzioni prima ritenuti solidi si infrangono miseramente difronte le nostre miserie e fragilità. Eppure sentiamo che questo non è ciò a cui siamo chiamati: desideriamo altro.

Insomma sentiamo profondamente l’esigenza di un Messia. Può essere qualsiasi cosa, o un qualcuno. Non ha importanza: un concetto, una idea, una ideologia politica, un fondamentalismo religioso, o un credo o una fede mite e pacifica, una pratica meditativa, o una attitudine mentale probabilmente inconsapevole come il nostro @MedBunker o la fede cieca nella scienza, nella tecnologia, nell’intelligenza artificiale. Ogni volta che attribuiamo a qualcosa una sorta di superpotere che va oltre le reali capacità di quel qualcosa lo stiamo implicitamente “messianizzando”, almeno in parte.

Oppure la guarigione da ogni malattia. Ad esempio un altro tweet un certo Maclarca mi rispondeva in questo modo qui:

https://twitter.com/bzimageit/status/1614284024343658497?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

notare come la “cura del cancro” viene portato ad esemplificazione estremale di una condizione umana fondamentalmente insopportabile: la paura della morte. La madre di tutte le paure, di tutte le separazioni, di tutte le ingiustizie.

Non stiamo parlando del semplice decesso, quello dei polli, dei vermi o dei bisonti. Ma della morte: una abisso non solo biologico, ma misterioso, che solo l’uomo sperimenta davvero. Che solo l’uomo non vuole far altro che fuggire con disperazione. Non è il semplice “istinto di sopravvivenza” tipico degli animali: è qualcosa di fondamentalmente diverso, che lo include, ma lo supera.

Lo stato di separazione, distorsione, sostanziale ingiustizia in cui viviamo costantemente ha origine ultima e ontologica nella paura della morte. Non dal timore, che sarebbe sano e retto, ma dalla paura.

Il timore è conseguenza della ragione e dell’amore. La paura invece della distorsione e dell’irrazionalità. Rimanere nella paura ci fa permanere nello stato di separazione.

Le varie forme messianiche, i vari surrogati che l’uomo crea da solo, come la Torre di Babele, non possono che dare soluzioni effimere e parziali.

La sapienza orientale (buddismo) chiama questo stato misterioso di separazione “karma”. Mentre la rivelazione cristiana l’ha elaborato come “peccato originale”, usando un nome a dire il vero non proprio chiarissimo. “Caduta” per usare un termine più biblico.

Ecco: sentiamo di essere dei “caduti” che in realtà meritano qualcosa di più elevato, di più alto rispetto a quello che viviamo tutti i giorni. Sentiamo di non meritare quello stato di separazione, desideriamo l’unità, la pace, l’integrazione con il mondo piuttosto che l’esserne separati. Vogliamo essere uno con il mondo e con tutti; in una parola vogliamo amare. Ma non ci riusiamo veramente fino infondo.

La rivelazione ebraico-cristiana prova a portare un messaggio nuovo: che per uscire da questo stato bisogna iniziare prima a sentirsi amati (ovvero riconoscere la grazia nella mia vita). E che noi non siamo e non ci identifichiamo con i nostri peccati, cioè i nostri limiti e le nostre distorsioni, anche quando queste sono originate da noi.

Purtroppo abbiamo una concezione troppo moralistica del peccato e pensiamo che siano soltanto i semplici “atti che facciamo” oppure certe “cose sporche” e “sbagliate” che commettiamo. Purtroppo anche una certa pastorale tradizionale della Chiesa Cattolica, con una amministrazione del sacramento della confessione ancora limitato al “auricolare” degli atti non aiuta ad andare in profondità al senso profondo del peccato, rimanendo solo nella superficie, e con ciò perdendo una grossa opportunità pedagogica, di crescita personale e di autentica liberazione.

Il peccato è un qualcosa di molto più ampio e profondo. E’ fondamentalmente uno stato da cui vogliamo essere salvati. Quello stato sbagliato in cui sentiamo si permanere sebbene non vogliamo. Da esso si può uscire in tanti modi, non esclusi la preghiera, la meditazione profonda e altre pratiche ascetiche presenti in molte tradizioni iniziatiche.

Ma fondamentalmente è la fede. Quella in Gesù Cristo inaugura questo processo: io credo che sia un modo fondamentalmente credibile, non perchè l’abbia sperimentato fino infondo: ma attraverso le vie ascetiche e mistiche che con lui e mediante lui ho avuto modo di assaggiare molti antipasti di quel senso di liberazione, di salvezza, che è possibile almeno in parte vivere mediante la fede; già qui e ora, anche se non pienamente.

E’ questo in sostanza il kerigma del Cristo che l’evangelista Marco riassume così: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 4,15)

  • Il tempo è compiuto; tradotto: è possibile sconfiggere nella nostra vita e nella storia l’era della distorsione, della separazione, della oppressione perchè ora qualcosa è cambiato.
  • Il Regno di Dio è vicino; tradotto: puoi uscire da questo stato di oppressione, distorsione, ingiustizia, fin da ora.
  • Convertitivi; tradotto: cambia modo di pensare, di ragionare e vedrai che il mondo inizierà a prendere una piega nuova.
  • …e credete al Vangelo; tradotto: buona notizia; quella gioia, quella felicità che tanto desideri viene dalla fede ed è possibile iniziare ad accederla. Qui e ora.

Non tutti i problemi saranno risolti, ma un orizzonte nuovo si aprirà davanti e quella vita eterna comincerà a sbocciare dentro di te per poi proseguire in chi ti sta attorno, e nell’eternità dei tempi.

E’ questo da cui dobbiamo essere salvati: l’abisso insopportabile della nostra finitezza.

Relativismo: controfigurazione messianica?

una risposta a Marco Gallarino sul suo Elogio del relativismo su Gli Stati Generali.

una risposta a Marco Gallarino sul suo Elogio del relativismo su Gli Stati Generali.

In queste ore molti stanno celebrando la memoria di Joseph Ratzinger apprezzando in particolare quanto egli si sia opposto al dilagare del relativismo proprio della società contemporanea.

capisco che proprio non va giù il fatto che venga tributato un onorato ricordo a una persona che ha dedicato una intera vita contro il relativismo. Se sei relativista certo devi dire qualcosa. Mi pare giusto. Evviva il dialogo franco.

Mi impressiona molto questo ragionamento, perché io sono convinto che il relativismo sia la più grande conquista della civiltà moderna.

Prima di tutto è importante e significativo sottolineare che di convinzione si tratta. Dunque una fede. Al pari di tante altri, no?

Proprio sul relativismo, ovvero sul non considerare come definitiva nessuna dottrina e come totalmente conoscibile nessuna realtà, si fonda il valore della tolleranza

Solo in apparenza il cristianesimo è una dottrina definitiva. Lo è in quanto conseguenza di una rivelazione. Ma la rivelazione cristiana professa il “già e non ancora”, che caratterizza il Regno di Dio già in essere ma posto definitivamente in un futuro indefinito, già compiuto ora si, ma non pienamente. La rivelazione di cui oggi l’uomo è in possesso grazie alla incarnazione del Figlio e alla rivelazione della natura Trinitaria di Dio pone il cristiano in un stato “relativo” rispetto all’assoluto del qui e ora. Al contrario dell’Islam che pone Dio come inconoscibile e infinitamente trascendente, e quindi tutto quello che l’uomo può fare è solo “accontentarsi del Corano”, nel cristianesimo il processo è una tensione continua: perchè si è vero che Dio è trascendente, è infinitamente altro da tutto ciò che l’uomo può conoscere e sapere, ma è anche vero che essendosi incarnato proprio nell’uomo, pone l’uomo come in transizione fra un oggi ancora non compiuto e un “domani” pienamente compiuto, ma accessibile alla coscienza umana. Il cristiano non è un uomo di certezze (se non appunto relative) ma soprattutto di speranza: di poter cioè accedere a quella verità (“non ancora”) in virtù del Figlio fatto uomo e messo in croce.

Non c’è nulla di più relativizzante del “già e non ancora” per la persona che vive il cammino di fede. Il Battesimo dona la capacità di credere e di vivere nel corpo della Chiesa, ma non assicura la salvezza, che è in definitiva l’accesso definitivo alla Verità.

E’ significativo poi osservare come questa affermazione, ripetuta tale e quale da ogni difensore del relativismo, non sia altro che un dogma apodittico, un articolo di fede come tanti altri: indimostrato e indimostrabile come tutti i dogmi di fede, appunto. Come se non fossero mai esistite persone tolleranti nelle più disparate tradizioni religiose, dai martiri cristiani (che l’intolleranza l’hanno subita e la subiscono ancora oggi) ai santi più noti e famosi a Gandhi allo stesso Budda: non mi pare fossero persone che credevano nel relativismo.

E il relativismo così presentato non può forse, a buon ragione, produrre intolleranza verso tutte le fedi diverse dalla propria? In definitiva verso tutto ciò che non è relativista? Evidentemente non se ne esce facilmente da questo “loop”. Questo perchè la violenza e l’intolleranza ha radici molto più profonde che non una certa fede piuttosto che un’altra. Ha a che fare con l’oscurità e gli abissi più profondi dell’essere umano, che ogni sana iniziazione dovrebbe cercare di smascherare e come, per il cristiano, fa magistralmente (citando René Girard) proprio la vicenda di Cristo, il suo processo, la sua condanna.

io accetto come significativa l’esperienza esistenziale e di pensiero di un altro essere umano proprio perché so che essa è portatrice di significato (potremmo dire di una parte della verità) e non può mai essere totalmente falsificata da nessuna pretesa verità assoluta.

Per il cristiano la Verità non è un concetto o una dottrina. Questa è la prima vera novità sconvolgente. Che ogni essere umano sia portatore di significato mi permetto di dire con assoluta evidenza storica che è un concetto introdotto nell’umanità dalla tradizione ebraica prima e cristiana poi. Quindi siamo d’accordo. Essa però non ha bisogno di essere “falsificata” da una “pretesa verità assoluta” perchè questa non è altro che la persona di Gesù. Dunque la verità non sta in un concetto ma in una relazione. Questa relazione non falsifica il significato della persona ma anzi lo riempie e lo esalta: perchè l’incarnazione fa Dio uomo. Gesù non era Dio al 50% e uomo al 50%. Ma Dio al 100% e uomo al 100%. Questa differenza non è una questione di lana caprina, ma ha effetti giganteschi.

Se si concepisce la Verità come concetto e non come relazione, essa è certo fonte di perenne problematicità. Non che la relazione sia esente da problemi, ma è decisamente su un altro livello.

Nessuno possiede la verità, ma tutti siamo portatori di senso. Il valore di questa consapevolezza filosofica è immenso ed è la base di una società tollerante, aperta e inclusiva.

Una società senza alcuna verità definitiva finirà per conformarsi al potere dominante: se infatti ogni opinione è infondo intercambiabile e alla fine non c’è nulla di definitivo, quale opinione finirà per essere alla fine dominante? Beh… basta osservare le dinamiche sociali moderne per rendersi facilmente conto che non può che essere il potere imposto con la pubblicità, i mass media, gli interessi finanziari a vincere per il semplice fatto che ha il potere della dissuasione che non trova più vincoli morali “definitivi”. Se tutto può essere aggirato e messo in discussione allora tutto può essere fatto merce, desiderio, mercato. Una tale società si potrebbe forse chiamare tollerante? Ho i miei dubbi, ma se anche lo fosse di certo non sarebbe giusta.

La giustizia: spesso la tolleranza viene venduta come un valore in se: è un grave errore, un sostanziale bias cognitivo, come se fosse automaticamente “una cosa buona”: in realtà non lo è. A ben vedere lo è è solo in quanto mezzo per raggiungere una maggiore giustizia. Ed è su questa che bisognerebbe concentrarsi: sui fini non sui mezzi. Insomma che ci facciamo con questa tolleranza? Quale è il vero obiettivo che vogliamo ci porti? Questa è una domanda che i relativisti non si chiedono mai davvero.

Mi rimane difficile immaginare un modello più tollerante, aperto e inclusivo di Gesù Cristo. Basta la sua biografia. E non mi pare affatto un tipo relativista, diciamo.

A meno che quando si parla di tolleranza, apertura e inclusività non ci si riferisca al potere del mercato e dei media: poteri che Gesù senza mezzi termini chiamava “di questo mondo”.

Oltre a ciò, esiste un profondo valore spirituale nel relativismo. Esso infatti preserva la consapevolezza del carattere trascendente della verità: la verità è trascendente e mai totalmente afferrabile dell’uomo, neppure lontanamente, e proprio per questo ogni esperienza umana si configura come un contributo imprescindibile per avanzare in quel percorso affascinante e mai concluso che è la ricerca della verità.

Sembra che chi abbia formulato queste tesi abbia preso la dottrina cristiana, e abbia sostituito “Dio” con “relativismo” e “Gesù Cristo” con “Verità”. Insomma una operazione poco originale. Una fascinosa contro-figurazione, direi.

Noi non conosciamo mai la verità nella sua totalità, ma accade qualcosa di molto più importante: noi siamo la verità.

E’ proprio così! Non la conosciamo totalmente perchè la attendiamo nella rivelazione finale, il Regno di Dio compiuto. E “siamo” la Verità proprio perchè la Verità si è fatta uomo! Conferma di quanto appena detto: la confro-figurazione del relativismo.

Il fatto che sistemi di pensiero non relativistici non abbiano mai generato società prive di violenza…

Questo è davvero opinabile: quasi tutto l’oriente ha una visione fondamentalmente relativistica, che spesso tende a includere tutte le fedi i una unica “verità”. Ma la storia umana mostra che le violenze e le intolleranze ci sono sempre state eccome, anche se in altre forme. E le guerre sanguinarie propriamente dette ci sono state eccome.

… anzi, il fatto che su di essi si siano fondati poteri repressivi e intolleranti, dimostra che il rispetto della dignità altrui non dipende dalle pretese filosofiche di conoscenza della verità, quanto piuttosto dalla capacità umana di provare empatia e amore per ciò che è umano al di fuori di sé e dentro di sé.

Qui c’è una contraddizione finale che conferma quanto detto sopra: che cioè anche il relavisimo in quanto “pretesa filosofica” fra le altre non garantisce assolutamente nulla. Eppure si sostiene la sua superiorità sulle altre impostazioni filosofiche o di fede. Sulla base di cosa, se non a sua volta di una fede?

Ecco la contraddizione del relativismo: si presenta come “umile pensiero” ma alla fine non è neanche in grado di mostrare la sua supposta superiorità. Il cristianesimo invece non è una filosofia e non si preoccupa di mostrare una superiorità con questioni argomentative o dialettiche (anche se non si possono escludere del tutto, come sto facendo in queste righe ad esempio), perchè, concludendo con la parole di Benedetto:

All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una presenza, con una persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, una direzione decisiva.

(Deus Caritas Est , Benedetto XVI)

Chissà se il nostro Gallarino ha mai letto “Fede, Verità, Tolleranza”, libro di Ratzinger di grande successo che affronta proprio di queste domande; sarebbe interessante aprire un dialogo e un confronto sulla base di quello che egli ha veramente detto e scritto sull’argomento e non sulla percezione che se ne ha.

Sentenza anti-aborto: cattive notizie, buone notizie

Osservazioni circa la sentenza della corte Suprema negli USA che ha ribaltato la precedente Roe v. Walde, che 50 anni fa aveva reso l’aborto un diritto costituzionale federale

Onestamente capisco poco di leggi, corti supreme, sistemi istituzionali, e soprattutto quelli statunitensi che mi paiono davvero strani: non capisco ad esempio come una Corte Suprema possa ribaltare una sua propria sentenza precedente, non capisco come certe corti possano essere politicizzate fino a quel punto, insomma non capisco molte cose e, da europeo, mi trovo poco a mio agio con quelle logiche. Ma andiamo avanti.

Provo a dire perchè secondo me dietro questa sentenza c’è qualche cattiva notizia e qualche buona notizia.

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Una domanda a chi non vuole inviare armi all’Ucraina

Chiedo a tutti quelli che dicono che non bisogna inviare armi all’Ucraina (non mi interessa sul motivo, sia esso presunto pacifismo o altro).

La mia domanda è semplice: se questo scenario non è sufficiente affinché si possano inviare armi a quel paese (non uso il termine “giusto” perchè non la parola giustizia è troppo grossa, e apre altre questioni che non voglio affrontare qui, ma per intenderci) allora mi si dica: quale potrebbe essere – invece – un ipotetico e immaginabile scenario di qualche tipo in cui fosse possibile?

Non basta l’invasione di un paese sovrano alle nostre porte.

Non bastano i bombardamenti sistematici ai civili, le uccisioni sommarie.

Non bastano i fallimenti della diplomazia.

Non bastano i progetti di russificazione già in atto nelle zone conquistate.

Non basta la fredda, se non ostile, accoglienza che i russi hanno avuto perfino dalla parte di cultura russa e russofona nelle zone conquistate. L’invasione russa poteva anche suscitare nell’Ucraina uno sprofondamento in una guerra civile, essendo che una buona parte della popolazione è sostanzialmente già di cultura e lingua russa: ma contrariamente a quanto si aspettavano i russi non sono stati accolti con entusiasmo, neanche da questa parte della popolazione. Non ci sono stati arruolamenti in massa dei russi nelle popolazioni conquistate se non per frazioni esigue della popolazione e la Russia manda soldati etnici dell’impero russo proveniente dai lontani oblast della immensa federazione per fare il lavoro sporco (ceceni, siberiani etc…). Lo stesso presidente Zelenskyy è madrelingua russa e originario della città Kryvyi Rih a maggioranza russa, una zona che probabilmente presto cadrà in mano dell’invasore: quando lui parla in TV, anche se parla ucraino, risulta molto marcato l’accento russo. Tutto questo è surreale. E’ come se nella prima guerra mondiale la popolazione del Sud Tirol si fosse in massa schierata con gli Italiani.

Non basta l’evidenza sul campo che mostra che le due parti belligeranti sono enormemente squilibrate essendo che la Russia può contare su risorse militari enormi rispetto a quelle Ucraine le quali se non aiutate sono condannate inesorabilmente a soccombere mentre se aiutate c’è la possibilità che riescano quantomeno a resistere. Cosa che chiedono esplicitamente.

Non basta l’insegnamento della storia che dice che quando certe potenze vengono “lasciate fare” poi finiscono nel “chiedere sempre di più” come fece Hitler dopo l’annessione dell’Austria.

Non basta il revanscismo ideologico neo-zarista che questa guerra vuole esaltare e del pericoloso nazionalismo di cui è portatrice in termini di valori (riportandoci indietro a pratiche di guerra non di un secolo fa, ma di due!).

Non basta evidentemente neanche il fatto che tutto questo accade nei nostri confini europei.

Allora se tutte queste cose – messe insieme – non sono sufficienti a mandare armi a un popolo che le chiede per difendersi legittimamente, allora cosa dovrebbe accadere affinché invece si possano inviare?

Riusciamo a immaginare un ipotetico scenario (in Ucraina o in una paese immaginario ma alle porte dell’Europa) per cui invece se accadesse ‘qualcosa’ sarebbe il caso di mandarle?

Chi sostiene che una cosa sia sbagliata o non opportuna deve anche mostrare di avere gli elementi di valutazione. Dunque dovrebbe essere in grado di ragionare affermando qualcosa del tipo: “in questo scenario no, ma in se fosse in quest’altro allora si…”.

Ecco vorrei capire questo. Chi dice “no alle armi all’ucraina” dovrebbe saper rispondere almeno a questo. Grazie.

Siamo seri! Aboliamo il cognome

la sentenza della Corte Costituzionale di questi giorni annulla in realtà il concetto stesso di cognome

Non sarà più automatica l’attribuzione di quello paterno: le norme che lo prevedono sono illegittime. Ora i nuovi nati porteranno quello di entrambi i genitori, a meno che loro stessi decidano diversamente. (fonte Repubblica.it)

Adesso il cognome è diventato incostituzionale.

Come? Direte voi… ma no! Lo si è reso solo rispettoso della parità dei sessi.

Ah si?

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Aumento spese difesa? Esercito Europeo? Spiegato bene, sintetico

Perché dobbiamo dire no all’aumento delle spese 2% del PIL in difesa e invece dire si ad un esercito europeo?
O meglio ad una Europa sovrana e democratica, ovvero federale?

Premesso che ognuno di noi sogna un mondo in cui non vi siano non solo più guerre ma semplicemente non vi siano più spese necessarie per la difesa, va anche considerato che, purtroppo, non possiamo pensare che da oggi a domani questo sia possibile, quindi nel frattempo dobbiamo continuare a spendere in eserciti. Se non lo facciamo noi lo faranno altri per noi; ma quando sarà il momento di decidere saranno loro a farlo. Noi europei non abbiamo mire egemoniche come invece Russia e USA.

In Europa spendiamo già una marea di soldi in difesa, quasi come USA, e più della Russa. Perché aumentare la quota?

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