Un amico e collega mi fa notare alcuni suoi punti di vista sul tema “scienza e fede”. Con me sfonda una porta aperta. Rispondo volentieri e lo ringrazio.
La questione del rapporto tra scienza e fede è da sempre cosa complicata.
Vero. Questo perchè è una questione che – come nessun’altra – va in profondità su cosa voglia dire davvero “conoscere”.
Però non posso fare a meno di notare che è un rapporto che appassiona molto i ferventi credenti e molto poco i laici.
Cosa assolutamente ovvia e pleonastica: se il tema della fede non ti interessa, non ti interesserà neanche il rapporto di qualsiasi altra cosa con la fede stessa. Io ad esempio non mi interesso di calcio e quindi non mi interesso di qualsiasi cosa che voglia “confrontarsi” con il calcio come per esempio il tema dello Stadio della Roma. Infatti questi “laici” di cui parli – di norma – rifiutano ogni dignità epistemica alla fede stessa perché altrimenti – riconoscendola – sarebbero obbligati a confrontarcisi, cosa che evidentemente non vogliono fare. Questi “laici” di norma quando parlano di fede oscillano tra (1) fare delle sparate che semplicemente denotano che non sanno di cosa stanno parlando (mi viene in mente una intervista a Margherita Hack in cui dichiarava cose così ingenue e imbarazzanti che mi chiesi se fosse lei o un ologramma a parlare) oppure (2) per chi ha più pudore si limita a tacere. Chi appartiene al primo gruppo in genere non fa altro che polemizzare perchè infondo non ha nient’altro da dire. In entrambi i casi il risultato è deludente.
Per fortuna però c’è un terzo gruppo di laici che invece ne sono interessati eccome e si confrontano costantemente; ad esempio Massimo Recalcati o Massimo Cacciari in Italia, Habermas al livello europeo e molti altri.
Tutti l’abbiamo vista, la «foto astronomica del secolo», il buco nero centrale in Messier 87. Per la prima volta nella storia. Paragrafo
«Fotografato» si fa per dire: non c’è nessuna pellicola, nessun obiettivo, nessuna stampa, nessuna banda elettromagnetica nella regione ottica, che è il visibile dell’occhio umano. Eppure si palra di «foto». Dovremmo parlare meglio di «immagine» giacché di questo si tratta: una elaborazione di una montagna di dati, tutti presi nello stesso momento, da decine di radiotelescopi (non «telescopi» dunque!) sparsi per il mondo, e molto, molto ben coordinati fra loro. Una impresa titanica.
Al posto della luce degli uomini, bande millimetriche. Al posto dell’obiettivo, radioantenne grandi come case. Al posto della pellicola, petabyte di dati. Al posto della stampa, immagini j-peg, e il frenetico andare rimbalzoso nel web. Al posto dell’individuo, il gruppo, al posto di una nazione, molte nazioni. Mai come oggi è antico stereotipo Emmet Brown [vedi foto].
Oh.. come è novecentesco e desueto anche il Premio Nobel! Non la genialità di uno, ma la disciplina studiosa di molti. Non è tutto in una formula il segreto. Non è tutto nell’ego di un genio solitario, immaginato magari – chissà perchè – pazzoide o schizzato. Il vero non è in questa letteratura, che proietta le paure e le angosce di una umanità impaurita. Il vero è invece nel sudore che viene dalla carne di uomini che vincono la fatica con il proprio entusiasmo. Da esso viene la fecondità, Il brivido di viverlo in gruppo, un’emozione di grandezza. La gioia di essere parte di una squadra in cammino con l’entusiasmo verso la scoperta. Il singolo realizza se stesso nelle relazioni feconde che nascono dalla passione per la scoperta. In questo – oggi più di ieri – si realizza oggi la Nuova Umanità, quel nascente in questo remoto e misterioso pianeta per cui nulla di grandemente nuovo sarà più frutto di uno. Cosa è, questo, per lo spirito umano? Un altro gradino, faticoso e maestoso, verso l’unità sempre agognata dai primordi della storia. Non è certo questo il primo dei progetti di tal specie, eppure è segno di quel tendere ormai ineluttabile, che da sempre aneliamo: All’unità. All’integrità. Al fare insieme. All’essere uno.
Così, proprio così, ci mostra la giovane Katie Bouman, ricercatrice
del team internazionale, che scrive su internet: «Guardo incredula la
prima immagine che io abbia mai fatto di un buco nero mentre stava per
essere ricostruita»
Nel suo sorriso, nei suoi occhi, nel suo volto vediamo i segni di una nascente e sempre più unita umanità: chi la vorrebbe ancora divisa, in guerra, in conflitto perenne, non sa che tutto questo, se non è già stato spazzato via dalla storia, lo sarà presto.
Lasciamo la conclusione alla nostra testimone dell’umanità nascente, questa giovane e brillante ricercatrice di 29 anni, divenuta per un giorno famosa in tutto il mondo, che pubblicando una foto di tutto il suo team scrive sul proprio profilo:
Sono
così felice …. L’immagine mostrata oggi è la combinazione di immagini
prodotte con più metodi. Nessuno algoritmo o persona ha creato questa
immagine, ha richiesto il sorprendente talento di un team di scienziati
di tutto il mondo e anni di duro lavoro per sviluppare lo strumento,
l’elaborazione dei dati, i metodi di imaging e le tecniche di analisi
necessarie per realizzare questa impresa apparentemente impossibile. È
stato davvero un onore, e sono così fortunata ad aver avuto
l’opportunità di lavorare con tutti voi.
Il nostro ringraziare è sempre dentro una relazione: Katie ringrazia. E’ felice perchè non solo è brava, ma soprattutto perchè non è sola.