Viterbo, Gesù palestrato: diamo una medaglia o una laurea ad honorem!

Il buon umore rallegri sempre lo spirito della fede, per mostrare la sua bellezza.
Questo mondo ha bisogno di chi lo sostiene e lo incoraggia, non di chi fa il lamento di tutto quello che non gli garba, solo perché appartiene ad altri linguaggi. La vera bestemmia è ben altro.

Leggo dagli orrori della stampa:

Non capisco perché tutte queste polemiche per un cartellone pubblicitario di questo tipo che i cristiani dovrebbero in realtà ringraziare, vista l’opportunità che ci dà di parlare di lui.

Mi pare che il cartellone evidenzi profondità teologiche interessanti:

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@prof. Giannuli: possiamo ridurre Satana ad astrazione, a concetto o a simbolo ?

Il professor Giannuli, in un suo recente video, pur ammettendo la “serietà” della fede cattolica come differente dalle narrazioni positiviste che riducono tutto a superstizione, parla di Satana come un simbolo o un concetto. Ma è davvero così?

Rispondo al prof. Aldo Giannuli riguardo un breve passaggio nel suo video “laici e il cattolicesimo” al minuto 25:56 e seguenti, che per il resto risulta più che lodevole e apprezzabile per profondità e comprensione del mondo cattolico, cui egli non appartiene.

In realtà Satana è legato proprio a quella libertà, la stessa di cui il professore parla quando ricorda che “Liberté, Égalité, Fraternité” sono concetti di cui la modernità si è nutrita traendoli proprio dal Cristianesimo. Vediamo perchè.

Satana come “essere personale” è strettamente legato alla visione del libero arbitrio e non è separabile dalla fede cattolica. Il Catechismo ai numeri 391,395 ribadisce chiaramente la natura personale di Satana e dei suoi demoni: non è superstizione.

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Salvezza da che cosa ?

Twitter ispira domande serie. Dalle esternazioni di MedBunker sul vino alle domande più serie di ‘Cristiano’. Da che cosa dobbiamo essere salvati?

Un paio di thread su Twitter mi portano a una riflessione più ampia per cui ho bisogno di più spazio e parole per argomentare meglio. Oltretutto una domanda – che ho avvertito come sincera – di un certo ‘Cristiano‘ mi ha indotto a fermarmi, meditare un poco, spendere qualche minuto in più per esprimermi. E lo ringrazio di questa opportunità.

Tutto è partito da una mia reazione – ad essere onesti polemica – al seguente tweet di un certo “Federico Ronchetti” che reagiva – a sua volta polemicamente – a un titolo di stampa (come al solito travisato dai giornalisti, ma sorvoliamo) sul “testamento spirituale” di Benedetto XVI (reperibile integralmente sul sito vaticano).

https://twitter.com/bzimageit/status/1609346347500544001?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

In questo passaggio il Ronchetti mal comprendeva il concetto di “fallimento della scienza” di cui (avrebbe) parlato Benedetto, confondendolo con il metodo sperimentale che fa leva, anche e soprattutto, su fallimenti e approssimazioni successive che consentono l’avanzare della conoscenza secondo il paradigma scientifico moderno.

Oltretutto il defunto pontefice non ha usato quell’espressione, anche se il senso poteva starci, se però adeguatamente contestualizzato. In Italia il giornalismo ci ha purtroppo abituato a dei virgolettati completamente reinventati dai giornalisti, con le conseguenze che ben possiamo immaginare: vengono messe sistematicamente in bocca alle persone parole che non hanno detto. C’è da chiedersi perchè allora usino il virgolettato se le parole sono reinterpretate dal giornalista, ma su questo ci vorrebbe un post a parte.

Vediamo intanto cosa veramente Benedetto ha scritto nel passaggio che il giornalista ha reinterpretato in quel modo:

Spesso sembra che la scienza — le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro — siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza; così come, d’altronde, è nel dialogo con le scienze naturali che anche la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità.

(Benedetto XVI, Il mio testamento spirituale, Agosto 2006 reso noto il giorno della sua morte 31.12.2022)

Dunque il pontefice emerito si riferiva al fallimento non della scienza, ma di un certo pensiero pseudoscientifico (usa infatti l’espressione “sembra che…”) che ammaliandosi di razionalità pretendeva – dall’illuminismo in poi e per tutto il XIX secolo, di falsificare tout-court la fede e i sui argomenti – soprattutto con l’ausilio delle scienze esatte e con una esegesi biblica basata su criteri esclusivamente storiografici – pensando di poter prima o poi essere in grado di dimostrare definitivamente la non sussistenza o infondatezza della fede stessa: in particolare quella cristiana che ha la pretesa di avere, nella figura del Cristo, un fondamento storico preciso. Questo non solo non è avvenuto, ma anzi le scienze naturali non hanno fatto che moltiplicare le domande di fondo rimanendo aperte tutte le domande esistenziali (teorie fisiche della Relatività, fisica quantistica per prime) mentre l’esegesi biblica anche fondata storicamente ha finito per confermare la fondatezza della chiave interpretativa della gran parte dei dati di fede, oppure li ha irrobustiti mediante una adeguata purificazione e reinterpretazione del concetto stesso di rivelazione (dei Verbum, Concilio Vaticano II). “Fondatezza della fede” non va presa come affermazione in senso scientifico-razionalista come se una retta ragione pretendesse di avere un ragionamento o di una dimostrazione razionale della fede: per il credente è infatti solo necessario che la ragione “non falsifichi” propriamente la fede, ovvero che lasci aperto uno spazio, un accesso, una “finestrella sufficiente”, per credere quella fede. La ragione può invalidare la fede solo quanto ha degli argomenti veramente robusti e inconfutabili per negarla, ma non può confermarla. Può solo lasciare uno spazio libero, comunque necessario per non rendere una fede irragionevole (fondamentalismo).

Così sono dunque da interpretare le parole del titolista di giornale che parla di “fallimento“: anche se Ratzinger non parla mai di “fallimento” ne tanto meno “della scienza” ma appunto denuncia e demistifica un pensiero filosofico-ideologico che ha tentato di usare la scienza per la propria agenda. Questa agenda, dice il pontefice, possiamo considerarla oggi fallita, anche se alcuni continuano a insistere con quegli argomenti; ma è indubbio che il loro tono è molto più ridimensionato e meno potente di quanto lo fosse decenni addietro, a causa del fatto che il positivismo razionalista, sebbene goda di importanti influenze pregresse stratificate nella cultura, ha ormai sempre meno spazio non solo nella filosofia, ma anche fra molti scienziati non certo credenti: la fede non è affatto messa all’angolo, ma è ancora qui con le sue domande e le sue questioni aperte.

Nel mio tweet di replica, che segue, ho cercato brevemente di sintetizzare questo concetto e un altro utente a firma “Cristiano” risponde garbatamente con una domanda da un fantastiglione di euro:

Già: salvezza da cosa?

La domanda si fa grossa assai. Impossibile rispondere esaustivamente, ma tentiamo comunque di farlo con qualche argomento spicciolo, a tentoni, senza troppe pretese, ma senza scadere in banalità e frasi fatte.

Partiamo un poco alla larga, prendendo spunto da un altro tweet di questi giorni di un noto “debunker” che si fa chiamare appunto @MedBunker, un ginecologo che da anni è impegnato su internet a sbufalare tutte le false credenze in medicina e che apprezzo moltissimo, e seguo, per il suo instancabile lavoro di corretta divulgazione scientifica (molto bello il suo blog medbunker.it). Come però fanno molte di queste persone, che credono molto nella scienza, finiscono a volte per crederci troppo. Cosa vuol dire? Vediamo un esempio, anche se un po’ banalotto.

Il nostro debunker reagiva a un tweet polemico di Matteo Salvini che polemizzava definendo “gravissima” l’iniziativa de l’Unione Europea che vorrebbe proporre l’imposizione su vino, birre e liquori di un’etichetta che li identifica come “pericolosi per la salute” (un po’ come avviene per le sigarette):

https://twitter.com/bzimageit/status/1614259060219543553?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

Come si evince dalla mia risposta, facevo notare che l’aspetto puramente biologico-medico-chimico della questione è solo uno delle variabili: vi sono anche in gioco questioni sociologiche, culturali, molto diverse da paese a paese che dovrebbero essere prese in considerazione allo stesso modo, invece di pretendere di uniformare il tutto sotto la luce singola di un’unica variabile.

Popoli diversi hanno leggi e regole diverse perchè hanno culture, valori, comportamenti e convenzioni differenti: non si può affermare che una certa scelta sia moralmente superiore (come sembra supporre il nostro debunker) solo perchè sia “scientificamente fondata”. Quando invece la scelta di cosa fare di quel risultato scientifico non è affatto scientifica, ma squisitamente politica. Quando ho fatto notare questa questione la risposta è stata la seguente:

https://twitter.com/bzimageit/status/1614267319446044674?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

ancora una volta il presupposto ideologico che c’è dietro questa argomentazione è che “la scienza” e suoi risultati hanno il completo diritto (in virtù di una supposta superiorità oggettiva e quindi morale) di una precedenza di qualche tipo su altre forme di valutazioni certo non negate, ma in quanto ritenute meno “scientifiche” (cultura, storia…) con meno legittimità argomentativa. Come a dire: “la scienza ha la precedenza e ha il diritto di scalzare gli altri”. Il problema di fondo è che in realtà non esistono “soluzioni scientifiche”, ma solo risultati. Le soluzioni invece sono solo argomenti etici ed in fin dei conti politici, rispetto alla tecnica possibile del momento. Notare come il nostro blogger dia valutazioni di carattere assolutamente morale quando dice “non è gravissimo; è giusto!” dando così definitivamente un valore etico-morale a decisioni presuppostamente ritenute “scientifiche” ma che invece scientifiche non sono affatto; un conto infatti è il risultato scientifico conseguente l’assunzione di alcool, un conto è la decisione su cosa vogliamo fare a valle di questi risultati: qualunque essa sia non avrà nulla di scientifico. La scienza ripete continuamente nei propri paradigmi che essa non può dare risposte né politiche né etiche né di morale né religiose. Eppure molti la usano proprio in quelle direzioni li. Il @MedBunker, ad esempio, dall’alto della sua supposta moralità superiore, non sembra preoccuparsene, e da giudizi morali ed etici sulla base di argomenti scientificamente solo apparenti.

Onestamente non saprei quanto valga la pena di mettere certe etichette sul vino: ma come il lettore avrà capito non è questo il punto.

E qui veniamo al punto, allora: abbiamo disperatamente bisogno di qualcosa, qualcuno, un’idea, una concezione che ci salvi… che ci faccia sentire che, seguendola, siamo, o saremo finalmente al sicuro. In posto di pace, tranquillità e serenità, gioia e felicità. Questa dimensione umana è irriducibile. Più cerchiamo di scansarla, più si ripresenta con tutta la sua forza. Cosa ci farà trovare tutto questo, o una sua parte? Può essere la scienza (una parte della cultura di oggi sembra volerci dire questo). O la tecnologia: il trans-umanesimo, l’intelligenza artificiale che ci darà nuove vie; la ricerca scientifica che ci darà l’immortalità; o l’esplorazione spaziale, che ci salverà fra migliaia di anni da una (presupposta) estinzione inevitabile etc…

Ma cosa centra tutto questo con la domanda del signor ‘Cristiano’ su cosa sia la Salvezza? Da cosa dobbiamo salvarci davvero?

Da cosa vogliamo veramente essere salvati? Infondo infondo, a ben vedere, vogliamo essere salvati dall’ingiustizia o da quello stato che noi percepiamo come ingiusto, distorto, in qualche modo sbagliato che ci sta intorno sempre, in ogni momento. Percepiamo istintivamente e inconfessabilmente che ci siano troppe cose sbagliate a questo mondo per poter essere accettabili. E non è così oggi, da adesso. E’ da sempre: dagli albori della civiltà: ogni nostro antenato, fino ai nostri nonni e ai nostri padri hanno sentito questa percezione; sempre. Ma perchè? Perché tutti percepiamo di essere contornati di una fondamentale ingiustizia? In famiglia, negli affetti, nella società, nello Stato, nella politica, nel mondo? Anche quando siamo davvero da soli non siamo mai soddisfatti: c’è sempre la sensazione costante che ci manca qualcosa di realmente e pienamente appagante. Sono pochi, davvero pochi i momenti di grande e piena gioria, felicità interiore, pace, senso di essere un tutto con tutto che ci circonda. Eppure non facciamo che desiderare continuamente di essere uniti al tutto che ci circonda, e però percepiamo nostro malgrado, di esserne costantemente separati. Gli amori terminano, a volte con delusioni enormi, gli affetti e in nostri sogni e convinzioni prima ritenuti solidi si infrangono miseramente difronte le nostre miserie e fragilità. Eppure sentiamo che questo non è ciò a cui siamo chiamati: desideriamo altro.

Insomma sentiamo profondamente l’esigenza di un Messia. Può essere qualsiasi cosa, o un qualcuno. Non ha importanza: un concetto, una idea, una ideologia politica, un fondamentalismo religioso, o un credo o una fede mite e pacifica, una pratica meditativa, o una attitudine mentale probabilmente inconsapevole come il nostro @MedBunker o la fede cieca nella scienza, nella tecnologia, nell’intelligenza artificiale. Ogni volta che attribuiamo a qualcosa una sorta di superpotere che va oltre le reali capacità di quel qualcosa lo stiamo implicitamente “messianizzando”, almeno in parte.

Oppure la guarigione da ogni malattia. Ad esempio un altro tweet un certo Maclarca mi rispondeva in questo modo qui:

https://twitter.com/bzimageit/status/1614284024343658497?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

notare come la “cura del cancro” viene portato ad esemplificazione estremale di una condizione umana fondamentalmente insopportabile: la paura della morte. La madre di tutte le paure, di tutte le separazioni, di tutte le ingiustizie.

Non stiamo parlando del semplice decesso, quello dei polli, dei vermi o dei bisonti. Ma della morte: una abisso non solo biologico, ma misterioso, che solo l’uomo sperimenta davvero. Che solo l’uomo non vuole far altro che fuggire con disperazione. Non è il semplice “istinto di sopravvivenza” tipico degli animali: è qualcosa di fondamentalmente diverso, che lo include, ma lo supera.

Lo stato di separazione, distorsione, sostanziale ingiustizia in cui viviamo costantemente ha origine ultima e ontologica nella paura della morte. Non dal timore, che sarebbe sano e retto, ma dalla paura.

Il timore è conseguenza della ragione e dell’amore. La paura invece della distorsione e dell’irrazionalità. Rimanere nella paura ci fa permanere nello stato di separazione.

Le varie forme messianiche, i vari surrogati che l’uomo crea da solo, come la Torre di Babele, non possono che dare soluzioni effimere e parziali.

La sapienza orientale (buddismo) chiama questo stato misterioso di separazione “karma”. Mentre la rivelazione cristiana l’ha elaborato come “peccato originale”, usando un nome a dire il vero non proprio chiarissimo. “Caduta” per usare un termine più biblico.

Ecco: sentiamo di essere dei “caduti” che in realtà meritano qualcosa di più elevato, di più alto rispetto a quello che viviamo tutti i giorni. Sentiamo di non meritare quello stato di separazione, desideriamo l’unità, la pace, l’integrazione con il mondo piuttosto che l’esserne separati. Vogliamo essere uno con il mondo e con tutti; in una parola vogliamo amare. Ma non ci riusiamo veramente fino infondo.

La rivelazione ebraico-cristiana prova a portare un messaggio nuovo: che per uscire da questo stato bisogna iniziare prima a sentirsi amati (ovvero riconoscere la grazia nella mia vita). E che noi non siamo e non ci identifichiamo con i nostri peccati, cioè i nostri limiti e le nostre distorsioni, anche quando queste sono originate da noi.

Purtroppo abbiamo una concezione troppo moralistica del peccato e pensiamo che siano soltanto i semplici “atti che facciamo” oppure certe “cose sporche” e “sbagliate” che commettiamo. Purtroppo anche una certa pastorale tradizionale della Chiesa Cattolica, con una amministrazione del sacramento della confessione ancora limitato al “auricolare” degli atti non aiuta ad andare in profondità al senso profondo del peccato, rimanendo solo nella superficie, e con ciò perdendo una grossa opportunità pedagogica, di crescita personale e di autentica liberazione.

Il peccato è un qualcosa di molto più ampio e profondo. E’ fondamentalmente uno stato da cui vogliamo essere salvati. Quello stato sbagliato in cui sentiamo si permanere sebbene non vogliamo. Da esso si può uscire in tanti modi, non esclusi la preghiera, la meditazione profonda e altre pratiche ascetiche presenti in molte tradizioni iniziatiche.

Ma fondamentalmente è la fede. Quella in Gesù Cristo inaugura questo processo: io credo che sia un modo fondamentalmente credibile, non perchè l’abbia sperimentato fino infondo: ma attraverso le vie ascetiche e mistiche che con lui e mediante lui ho avuto modo di assaggiare molti antipasti di quel senso di liberazione, di salvezza, che è possibile almeno in parte vivere mediante la fede; già qui e ora, anche se non pienamente.

E’ questo in sostanza il kerigma del Cristo che l’evangelista Marco riassume così: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 4,15)

  • Il tempo è compiuto; tradotto: è possibile sconfiggere nella nostra vita e nella storia l’era della distorsione, della separazione, della oppressione perchè ora qualcosa è cambiato.
  • Il Regno di Dio è vicino; tradotto: puoi uscire da questo stato di oppressione, distorsione, ingiustizia, fin da ora.
  • Convertitivi; tradotto: cambia modo di pensare, di ragionare e vedrai che il mondo inizierà a prendere una piega nuova.
  • …e credete al Vangelo; tradotto: buona notizia; quella gioia, quella felicità che tanto desideri viene dalla fede ed è possibile iniziare ad accederla. Qui e ora.

Non tutti i problemi saranno risolti, ma un orizzonte nuovo si aprirà davanti e quella vita eterna comincerà a sbocciare dentro di te per poi proseguire in chi ti sta attorno, e nell’eternità dei tempi.

E’ questo da cui dobbiamo essere salvati: l’abisso insopportabile della nostra finitezza.

Relativismo: controfigurazione messianica?

una risposta a Marco Gallarino sul suo Elogio del relativismo su Gli Stati Generali.

una risposta a Marco Gallarino sul suo Elogio del relativismo su Gli Stati Generali.

In queste ore molti stanno celebrando la memoria di Joseph Ratzinger apprezzando in particolare quanto egli si sia opposto al dilagare del relativismo proprio della società contemporanea.

capisco che proprio non va giù il fatto che venga tributato un onorato ricordo a una persona che ha dedicato una intera vita contro il relativismo. Se sei relativista certo devi dire qualcosa. Mi pare giusto. Evviva il dialogo franco.

Mi impressiona molto questo ragionamento, perché io sono convinto che il relativismo sia la più grande conquista della civiltà moderna.

Prima di tutto è importante e significativo sottolineare che di convinzione si tratta. Dunque una fede. Al pari di tante altri, no?

Proprio sul relativismo, ovvero sul non considerare come definitiva nessuna dottrina e come totalmente conoscibile nessuna realtà, si fonda il valore della tolleranza

Solo in apparenza il cristianesimo è una dottrina definitiva. Lo è in quanto conseguenza di una rivelazione. Ma la rivelazione cristiana professa il “già e non ancora”, che caratterizza il Regno di Dio già in essere ma posto definitivamente in un futuro indefinito, già compiuto ora si, ma non pienamente. La rivelazione di cui oggi l’uomo è in possesso grazie alla incarnazione del Figlio e alla rivelazione della natura Trinitaria di Dio pone il cristiano in un stato “relativo” rispetto all’assoluto del qui e ora. Al contrario dell’Islam che pone Dio come inconoscibile e infinitamente trascendente, e quindi tutto quello che l’uomo può fare è solo “accontentarsi del Corano”, nel cristianesimo il processo è una tensione continua: perchè si è vero che Dio è trascendente, è infinitamente altro da tutto ciò che l’uomo può conoscere e sapere, ma è anche vero che essendosi incarnato proprio nell’uomo, pone l’uomo come in transizione fra un oggi ancora non compiuto e un “domani” pienamente compiuto, ma accessibile alla coscienza umana. Il cristiano non è un uomo di certezze (se non appunto relative) ma soprattutto di speranza: di poter cioè accedere a quella verità (“non ancora”) in virtù del Figlio fatto uomo e messo in croce.

Non c’è nulla di più relativizzante del “già e non ancora” per la persona che vive il cammino di fede. Il Battesimo dona la capacità di credere e di vivere nel corpo della Chiesa, ma non assicura la salvezza, che è in definitiva l’accesso definitivo alla Verità.

E’ significativo poi osservare come questa affermazione, ripetuta tale e quale da ogni difensore del relativismo, non sia altro che un dogma apodittico, un articolo di fede come tanti altri: indimostrato e indimostrabile come tutti i dogmi di fede, appunto. Come se non fossero mai esistite persone tolleranti nelle più disparate tradizioni religiose, dai martiri cristiani (che l’intolleranza l’hanno subita e la subiscono ancora oggi) ai santi più noti e famosi a Gandhi allo stesso Budda: non mi pare fossero persone che credevano nel relativismo.

E il relativismo così presentato non può forse, a buon ragione, produrre intolleranza verso tutte le fedi diverse dalla propria? In definitiva verso tutto ciò che non è relativista? Evidentemente non se ne esce facilmente da questo “loop”. Questo perchè la violenza e l’intolleranza ha radici molto più profonde che non una certa fede piuttosto che un’altra. Ha a che fare con l’oscurità e gli abissi più profondi dell’essere umano, che ogni sana iniziazione dovrebbe cercare di smascherare e come, per il cristiano, fa magistralmente (citando René Girard) proprio la vicenda di Cristo, il suo processo, la sua condanna.

io accetto come significativa l’esperienza esistenziale e di pensiero di un altro essere umano proprio perché so che essa è portatrice di significato (potremmo dire di una parte della verità) e non può mai essere totalmente falsificata da nessuna pretesa verità assoluta.

Per il cristiano la Verità non è un concetto o una dottrina. Questa è la prima vera novità sconvolgente. Che ogni essere umano sia portatore di significato mi permetto di dire con assoluta evidenza storica che è un concetto introdotto nell’umanità dalla tradizione ebraica prima e cristiana poi. Quindi siamo d’accordo. Essa però non ha bisogno di essere “falsificata” da una “pretesa verità assoluta” perchè questa non è altro che la persona di Gesù. Dunque la verità non sta in un concetto ma in una relazione. Questa relazione non falsifica il significato della persona ma anzi lo riempie e lo esalta: perchè l’incarnazione fa Dio uomo. Gesù non era Dio al 50% e uomo al 50%. Ma Dio al 100% e uomo al 100%. Questa differenza non è una questione di lana caprina, ma ha effetti giganteschi.

Se si concepisce la Verità come concetto e non come relazione, essa è certo fonte di perenne problematicità. Non che la relazione sia esente da problemi, ma è decisamente su un altro livello.

Nessuno possiede la verità, ma tutti siamo portatori di senso. Il valore di questa consapevolezza filosofica è immenso ed è la base di una società tollerante, aperta e inclusiva.

Una società senza alcuna verità definitiva finirà per conformarsi al potere dominante: se infatti ogni opinione è infondo intercambiabile e alla fine non c’è nulla di definitivo, quale opinione finirà per essere alla fine dominante? Beh… basta osservare le dinamiche sociali moderne per rendersi facilmente conto che non può che essere il potere imposto con la pubblicità, i mass media, gli interessi finanziari a vincere per il semplice fatto che ha il potere della dissuasione che non trova più vincoli morali “definitivi”. Se tutto può essere aggirato e messo in discussione allora tutto può essere fatto merce, desiderio, mercato. Una tale società si potrebbe forse chiamare tollerante? Ho i miei dubbi, ma se anche lo fosse di certo non sarebbe giusta.

La giustizia: spesso la tolleranza viene venduta come un valore in se: è un grave errore, un sostanziale bias cognitivo, come se fosse automaticamente “una cosa buona”: in realtà non lo è. A ben vedere lo è è solo in quanto mezzo per raggiungere una maggiore giustizia. Ed è su questa che bisognerebbe concentrarsi: sui fini non sui mezzi. Insomma che ci facciamo con questa tolleranza? Quale è il vero obiettivo che vogliamo ci porti? Questa è una domanda che i relativisti non si chiedono mai davvero.

Mi rimane difficile immaginare un modello più tollerante, aperto e inclusivo di Gesù Cristo. Basta la sua biografia. E non mi pare affatto un tipo relativista, diciamo.

A meno che quando si parla di tolleranza, apertura e inclusività non ci si riferisca al potere del mercato e dei media: poteri che Gesù senza mezzi termini chiamava “di questo mondo”.

Oltre a ciò, esiste un profondo valore spirituale nel relativismo. Esso infatti preserva la consapevolezza del carattere trascendente della verità: la verità è trascendente e mai totalmente afferrabile dell’uomo, neppure lontanamente, e proprio per questo ogni esperienza umana si configura come un contributo imprescindibile per avanzare in quel percorso affascinante e mai concluso che è la ricerca della verità.

Sembra che chi abbia formulato queste tesi abbia preso la dottrina cristiana, e abbia sostituito “Dio” con “relativismo” e “Gesù Cristo” con “Verità”. Insomma una operazione poco originale. Una fascinosa contro-figurazione, direi.

Noi non conosciamo mai la verità nella sua totalità, ma accade qualcosa di molto più importante: noi siamo la verità.

E’ proprio così! Non la conosciamo totalmente perchè la attendiamo nella rivelazione finale, il Regno di Dio compiuto. E “siamo” la Verità proprio perchè la Verità si è fatta uomo! Conferma di quanto appena detto: la confro-figurazione del relativismo.

Il fatto che sistemi di pensiero non relativistici non abbiano mai generato società prive di violenza…

Questo è davvero opinabile: quasi tutto l’oriente ha una visione fondamentalmente relativistica, che spesso tende a includere tutte le fedi i una unica “verità”. Ma la storia umana mostra che le violenze e le intolleranze ci sono sempre state eccome, anche se in altre forme. E le guerre sanguinarie propriamente dette ci sono state eccome.

… anzi, il fatto che su di essi si siano fondati poteri repressivi e intolleranti, dimostra che il rispetto della dignità altrui non dipende dalle pretese filosofiche di conoscenza della verità, quanto piuttosto dalla capacità umana di provare empatia e amore per ciò che è umano al di fuori di sé e dentro di sé.

Qui c’è una contraddizione finale che conferma quanto detto sopra: che cioè anche il relavisimo in quanto “pretesa filosofica” fra le altre non garantisce assolutamente nulla. Eppure si sostiene la sua superiorità sulle altre impostazioni filosofiche o di fede. Sulla base di cosa, se non a sua volta di una fede?

Ecco la contraddizione del relativismo: si presenta come “umile pensiero” ma alla fine non è neanche in grado di mostrare la sua supposta superiorità. Il cristianesimo invece non è una filosofia e non si preoccupa di mostrare una superiorità con questioni argomentative o dialettiche (anche se non si possono escludere del tutto, come sto facendo in queste righe ad esempio), perchè, concludendo con la parole di Benedetto:

All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una presenza, con una persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, una direzione decisiva.

(Deus Caritas Est , Benedetto XVI)

Chissà se il nostro Gallarino ha mai letto “Fede, Verità, Tolleranza”, libro di Ratzinger di grande successo che affronta proprio di queste domande; sarebbe interessante aprire un dialogo e un confronto sulla base di quello che egli ha veramente detto e scritto sull’argomento e non sulla percezione che se ne ha.

Coronavirus: Appello alla CEI

Sottoscrivi l’appello alla CEI di cui sono promotore insieme ad altri.

​Cari amici, insieme ad altre persone nella Chiesa, più autorevoli di me, abbiamo sottoscritto come primi firmatari / promotori un appello alla CEI che sta girando in rete, che potete trovare anche in altri siti (esempio qui , qui, qui).

L’appello fa riferimento alla recente posizione della CEI in seguito al recente DCPM che nel riaprire alcune attività ha negato per ora quella liturgica pubblica; riteniamo che tale reazione dei vescovi, nel merito e nel linguaggio, sia stata particolarmente dura nei riguardi della già difficile decisione legislativa.

Tra l’altro, personalmente, ritengo la presa di posizione dei vescovi decisamente poco evangelica, come lo stesso Papa Francesco sembra aver lasciato intendere con gesti e parole recenti, e come la Tradizione stessa della Chiesa insegni.

Il Sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il Sabato (Mc 2,27).

La carità è sopra ogni cosa (1Cor 13).

Vi invito a entrare bel dibattito e, se lo condividete, aderite fino al 9 maggio compreso, scrivendo al seguente indirizzo: liberalizzazioneliturgie@finesettimana.org

Come sempre i vostri commenti qui sono i benvenuti.

Clicca qui per il Testo dell’appello che trovate anche in copia qui sotto nel primo commento.

Grazie a tutti!

Il prossimo secondo il ministro Fontana

E così abbiamo ministri sedicenti cattolici che con arroganza e senza nessun pudore si fanno insegnanti di Catechismo e Vangelo pretendendo di insegnare chi è il “prossimo” secondo l’ortodossia: la loro, ovviamente.

Peccato che Catechismo e Vangelo insegnano diversamente: la parabola del buon samatitano identifica proprio il tipo di “prossimo” opposto alla logica egoica che inventa invece il ministro Fontana. E che il prossimo non è tanto l’altro in se, bensì io, cioè il cristiano, che è chiamato “farsi prossimo del prossimo”. Vergogna: questo è contro il secondo comandamento, chissà se Fontana ne ha mai sentito parlare.

Speravo che i Vescovi avessero un sussultuto di dignità, perchè qui è affar loro intervenire: Avvenire, il loro quotidiano, non poteva certo non prendere posizione, e infatti l’ha fatto ma con una lettera al direttore e una replica di questi. Mi sarei aspettato però un intervento diretto di qualche vescovo di caratura della Chiesa Italiana. Vescovi pavidi e falliti, senza coraggio, senza ossatura, senza virilità. Come è facile invece intervenire in modo diretto verso altre questioni….

Tutto il contrario di Gesù che invece da vero buon pastore non esitava, quando necessario, a urlare “razza di vipere” a chi di dovere o a rovesciare i banchi nel Tempio contro il potere arrogante e usurpatore.

Eh già… l’ira di Dio l’abbiamo dimenticata e messa in soffitta in nome di una falsa bontà, e allora pensiamo che anche noi non dovremmo mai adirarci…. ma anche questo non è l’insegnamento di Gesù. E anche l’ira di Dio può essere segno dell’amore, sia umano sia divino.

    Cosa ne pensi?

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    troppo lungopoco chiaronon ci avevo mai pensato
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    Giubileo della Misericordia: da Amazon a Guitton

    Jean Guitton, 1901-1999

    Premessa: l’articolo è stato modificato dopo la prima pubblicazione, a causa di una errata ricerca: il testo è stato invalidato con la barratura.

    Chiese il giornalista: «perchè lei è cattolico» ? [9]
    «Sono cattolico perché voglio tutto».
    Così rispondeva Jean Guitton, filosofo e scrittore francese del secolo scorso [8].

    Ed eccomi a rispondere alla domanda dell’amico e collega ateo che, a proposito del Giubileo, pretendendo perplesso che a diversi sforzi e atti corrispondano necessariamente diversi benefici, secondo l’equazione:

    più cose da fare = piu benefici

    Leggi tutto “Giubileo della Misericordia: da Amazon a Guitton”

    Beato Andrè

    Blitz “all’acqua santa” delle Femen contro l’arcivescovo Bruxelles, Andrè Joseph Leonard.

    Femen-vescovo- Bruxelles|

    Blitz “all’acqua santa” delle Femen contro l’arcivescovo Bruxelles, Andrè Joseph Leonard, titolano le testate online. Il prelato ha reagito rimanendo in silenzio, fermo, pregando.

    Consultimo ora un’altro libro. il Vangelo di Matteo al capitolo 5:

    11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. […]

    43 Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; 44 ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,

     

    Da Benedetto XVI a Francesco: ovvero dalla scuola al lavoro

    Benedetto XVI e Francesco: due papi contrapposti dai media; Con quali fondamenti? La logica cattolica dell’ et-et non è compresa dalle logiche mondane. Una parabola dalla scuola al lavoro.

    Una foto scattata da cellulare durante in ritorno in pulmino a Santa Marta subito dopo l'elezione di Papa Francesco
    Una foto scattata da cellulare durante in ritorno in pulmino a Santa Marta subito dopo l’elezione di Papa Francesco

    Di tutte le foto dell’evento straordinario, storico, circa l’elezione di Papa Francesco ho scelto questa qui sopra. Molti i primati fatti notare: primo papa gesuita, primo americano etc, etc.. e anche primo papa “informalissimo”, dico io, se escludiamo quelli dei primi secoli, su cui non sappiamo gran che.
    La foto mi ricorda le gite di scuola quando, salendo sul bus, si faceva a gara per prendere gli ultimi posti. All’epoca non c’era il cellulare, ma se ci fosse stato la foto sarebbe più o meno così: volti sorridenti, foto sgranata, proprio come fosse fatta da un adolescente esuberante.
    E invece è un gruppo di cardinali in ritorno dal conclave, e con il Papa che preferisce stare con loro (mi ricorda lo “stare” di Gesù con i suoi discepoli di cui parla l’evangelista Marco) piuttosto che l’auto a lui riservata: me lo immagino il cardinale che scatta la foto, e poi la scarica da cellulare e gli fa fare il giro del mondo: con i mezzi di oggi bastano pochi secondi. Leggi tutto “Da Benedetto XVI a Francesco: ovvero dalla scuola al lavoro”

    Un precedente e una profezia

    Il Papa ha voluto creare un precedente, ed essere così profetico per il futuro della Chiesa. Non è un atto solo personale.

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    Papa Benedetto XVI durante l’annuncio della rinuncia al ministero petrino

    Nell’annuncio delle proprie storiche dimissioni, papa Benedetto ha giustificato la sua scelta dicendo, tra le altre importanti cose: “….nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti…..”; di quali rapidi mutamenti sta parlando il Papa? Penso sia molto semplice: oggi c’è un modo nuovo di morire. Non all’improvviso, per una febbre o una breve malattia, una polmonite o un’infezione misteriosa, come un tempo. Si muore spesso, piuttosto, in seguito a lunghi periodi di disabilità. Non è la vita che è si è allungata, ma la vecchiaia. E con essa si convive di più e più a lungo con esperienze quali mente meno lucida, acciacchi sempre più debilitanti, etc…

    A questo si aggiunga che l’agenda di un Papa, oggi, non è più quella del 1200: impegni quotidiani e scalette fittissime di incontri, discorsi da preparare, agende cronometrate sul minuto.
    Inoltre la Chiesa, nel XX secolo, è molto più grande ed estesa di un tempo: troppe le cose da seguire.

    Il rischio è che un Papa malato e/o disabilitato o anche non malato ma semplicemente troppo anziano, soprattutto se si trova in queste condizioni per lunghi anni, è un problema piuttosto che una risorsa; e allora l’alternativa alla dimissione non può che essere il delegare de-facto ad altri, come tra l’altro è avvenuto negli ultimi anni con Giovanni Paolo II; il risultato è che la Chiesa si ritrova così senza vero governo, senza Pietro.

    Penso che l’intenzione del Papa, oltre che personale, sia anche stata quella di creare un precedente nella Storia; “soggetto a rapidi mutamenti” vuole semplicemente dire che “Papa fino alla morte” non è altro che una tradizione, appunto con la “t” minuscola: non fa parte di quella Tradizione, con la T maiuscola, che è ben altra cosa, e di cui questo Papa è difensore innamorato. Da oggi dovremo quindi convivere con l’idea che per il Vescovo di Roma “carica a vita” (ma sarebbe meglio dire ministero) non significa necessariamente “fino alla morte”. E questo è imposto proprio da quei “rapidi mutamenti” di cui parla Benedetto.

    Benedetto è un uomo di grande realismo e di grande semplicità. I commenti che sento in giro, in ufficio e per strada, quasi sempre in stile da osteria, non fanno che mostrare quanto la gente non conosca questa persona semplice e mite, lontana anni luce dagli stereotipi massmediatici; eppure non serve avere amici in Vaticano per scoprirlo: basta leggersi su internet i suoi scritti, il suo pensiero, le sue omelie, i suoi discorsi. Ma pazienza: nel consumismo mondano delle notizie, già domani si parlerà d’altro. Nel tram tram quotidiano della cultura del “talk-show” basta che ognuno dica la sua, e che magari faccia “colpo” o che sembri intelligente, divertente o originale: non è necessario che siano cose sensate. Anche questo fa parte dei “rapidi mutamenti” che vediamo sotto gli occhi.

    Il Signore ha comandato a Pietro di pascere le sue pecorelle. Anche con questo atto Benedetto non fa che rispettare questo semplice comando: anche il distacco può essere un evento grandemente educativo, come tra l’altro ha mostrato lo stesso Signore Risorto con i suoi discepoli: “è un bene per voi che io me ne vada”.

    E Giovanni Paolo II, ha forse sbagliato a rimanere li fino alla fine, sofferente e malato? Certo che no: ma lui era animato da un’altro discernimento, da altre ragioni. Altrettanto evangelicamente valide. Quando si ha a che fare con la coscienza, anche comportamenti opposti possono essere entrambi validissimamente fondati: perché il Signore chiede a ognuno di noi cose diverse. Purtroppo il moralismo ampiamente diffuso, sia nella Chiesa che fuori, attaccato a certa “tradizione”, difficilmente comprenderà questo punto di vista, perché certe differenze sono sempre poco capite.

    Ringrazio il Signore per questo grande dono che ha fatto alla Chiesa in questi otto anni di pontificato di questo semplice, mite, acuto, uomo di fede.

    PS: un pronostico: il prossimo Papa non si chiamerà ne Giovanni Paolo, ne Benedetto.

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      troppo lungopoco chiaronon ci avevo mai pensato
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