Relativismo: controfigurazione messianica?

una risposta a Marco Gallarino sul suo Elogio del relativismo su Gli Stati Generali.

Benedetto XVI

una risposta a Marco Gallarino sul suo Elogio del relativismo su Gli Stati Generali.

In queste ore molti stanno celebrando la memoria di Joseph Ratzinger apprezzando in particolare quanto egli si sia opposto al dilagare del relativismo proprio della società contemporanea.

capisco che proprio non va giù il fatto che venga tributato un onorato ricordo a una persona che ha dedicato una intera vita contro il relativismo. Se sei relativista certo devi dire qualcosa. Mi pare giusto. Evviva il dialogo franco.

Mi impressiona molto questo ragionamento, perché io sono convinto che il relativismo sia la più grande conquista della civiltà moderna.

Prima di tutto è importante e significativo sottolineare che di convinzione si tratta. Dunque una fede. Al pari di tante altri, no?

Proprio sul relativismo, ovvero sul non considerare come definitiva nessuna dottrina e come totalmente conoscibile nessuna realtà, si fonda il valore della tolleranza

Solo in apparenza il cristianesimo è una dottrina definitiva. Lo è in quanto conseguenza di una rivelazione. Ma la rivelazione cristiana professa il “già e non ancora”, che caratterizza il Regno di Dio già in essere ma posto definitivamente in un futuro indefinito, già compiuto ora si, ma non pienamente. La rivelazione di cui oggi l’uomo è in possesso grazie alla incarnazione del Figlio e alla rivelazione della natura Trinitaria di Dio pone il cristiano in un stato “relativo” rispetto all’assoluto del qui e ora. Al contrario dell’Islam che pone Dio come inconoscibile e infinitamente trascendente, e quindi tutto quello che l’uomo può fare è solo “accontentarsi del Corano”, nel cristianesimo il processo è una tensione continua: perchè si è vero che Dio è trascendente, è infinitamente altro da tutto ciò che l’uomo può conoscere e sapere, ma è anche vero che essendosi incarnato proprio nell’uomo, pone l’uomo come in transizione fra un oggi ancora non compiuto e un “domani” pienamente compiuto, ma accessibile alla coscienza umana. Il cristiano non è un uomo di certezze (se non appunto relative) ma soprattutto di speranza: di poter cioè accedere a quella verità (“non ancora”) in virtù del Figlio fatto uomo e messo in croce.

Non c’è nulla di più relativizzante del “già e non ancora” per la persona che vive il cammino di fede. Il Battesimo dona la capacità di credere e di vivere nel corpo della Chiesa, ma non assicura la salvezza, che è in definitiva l’accesso definitivo alla Verità.

E’ significativo poi osservare come questa affermazione, ripetuta tale e quale da ogni difensore del relativismo, non sia altro che un dogma apodittico, un articolo di fede come tanti altri: indimostrato e indimostrabile come tutti i dogmi di fede, appunto. Come se non fossero mai esistite persone tolleranti nelle più disparate tradizioni religiose, dai martiri cristiani (che l’intolleranza l’hanno subita e la subiscono ancora oggi) ai santi più noti e famosi a Gandhi allo stesso Budda: non mi pare fossero persone che credevano nel relativismo.

E il relativismo così presentato non può forse, a buon ragione, produrre intolleranza verso tutte le fedi diverse dalla propria? In definitiva verso tutto ciò che non è relativista? Evidentemente non se ne esce facilmente da questo “loop”. Questo perchè la violenza e l’intolleranza ha radici molto più profonde che non una certa fede piuttosto che un’altra. Ha a che fare con l’oscurità e gli abissi più profondi dell’essere umano, che ogni sana iniziazione dovrebbe cercare di smascherare e come, per il cristiano, fa magistralmente (citando René Girard) proprio la vicenda di Cristo, il suo processo, la sua condanna.

io accetto come significativa l’esperienza esistenziale e di pensiero di un altro essere umano proprio perché so che essa è portatrice di significato (potremmo dire di una parte della verità) e non può mai essere totalmente falsificata da nessuna pretesa verità assoluta.

Per il cristiano la Verità non è un concetto o una dottrina. Questa è la prima vera novità sconvolgente. Che ogni essere umano sia portatore di significato mi permetto di dire con assoluta evidenza storica che è un concetto introdotto nell’umanità dalla tradizione ebraica prima e cristiana poi. Quindi siamo d’accordo. Essa però non ha bisogno di essere “falsificata” da una “pretesa verità assoluta” perchè questa non è altro che la persona di Gesù. Dunque la verità non sta in un concetto ma in una relazione. Questa relazione non falsifica il significato della persona ma anzi lo riempie e lo esalta: perchè l’incarnazione fa Dio uomo. Gesù non era Dio al 50% e uomo al 50%. Ma Dio al 100% e uomo al 100%. Questa differenza non è una questione di lana caprina, ma ha effetti giganteschi.

Se si concepisce la Verità come concetto e non come relazione, essa è certo fonte di perenne problematicità. Non che la relazione sia esente da problemi, ma è decisamente su un altro livello.

Nessuno possiede la verità, ma tutti siamo portatori di senso. Il valore di questa consapevolezza filosofica è immenso ed è la base di una società tollerante, aperta e inclusiva.

Una società senza alcuna verità definitiva finirà per conformarsi al potere dominante: se infatti ogni opinione è infondo intercambiabile e alla fine non c’è nulla di definitivo, quale opinione finirà per essere alla fine dominante? Beh… basta osservare le dinamiche sociali moderne per rendersi facilmente conto che non può che essere il potere imposto con la pubblicità, i mass media, gli interessi finanziari a vincere per il semplice fatto che ha il potere della dissuasione che non trova più vincoli morali “definitivi”. Se tutto può essere aggirato e messo in discussione allora tutto può essere fatto merce, desiderio, mercato. Una tale società si potrebbe forse chiamare tollerante? Ho i miei dubbi, ma se anche lo fosse di certo non sarebbe giusta.

La giustizia: spesso la tolleranza viene venduta come un valore in se: è un grave errore, un sostanziale bias cognitivo, come se fosse automaticamente “una cosa buona”: in realtà non lo è. A ben vedere lo è è solo in quanto mezzo per raggiungere una maggiore giustizia. Ed è su questa che bisognerebbe concentrarsi: sui fini non sui mezzi. Insomma che ci facciamo con questa tolleranza? Quale è il vero obiettivo che vogliamo ci porti? Questa è una domanda che i relativisti non si chiedono mai davvero.

Mi rimane difficile immaginare un modello più tollerante, aperto e inclusivo di Gesù Cristo. Basta la sua biografia. E non mi pare affatto un tipo relativista, diciamo.

A meno che quando si parla di tolleranza, apertura e inclusività non ci si riferisca al potere del mercato e dei media: poteri che Gesù senza mezzi termini chiamava “di questo mondo”.

Oltre a ciò, esiste un profondo valore spirituale nel relativismo. Esso infatti preserva la consapevolezza del carattere trascendente della verità: la verità è trascendente e mai totalmente afferrabile dell’uomo, neppure lontanamente, e proprio per questo ogni esperienza umana si configura come un contributo imprescindibile per avanzare in quel percorso affascinante e mai concluso che è la ricerca della verità.

Sembra che chi abbia formulato queste tesi abbia preso la dottrina cristiana, e abbia sostituito “Dio” con “relativismo” e “Gesù Cristo” con “Verità”. Insomma una operazione poco originale. Una fascinosa contro-figurazione, direi.

Noi non conosciamo mai la verità nella sua totalità, ma accade qualcosa di molto più importante: noi siamo la verità.

E’ proprio così! Non la conosciamo totalmente perchè la attendiamo nella rivelazione finale, il Regno di Dio compiuto. E “siamo” la Verità proprio perchè la Verità si è fatta uomo! Conferma di quanto appena detto: la confro-figurazione del relativismo.

Il fatto che sistemi di pensiero non relativistici non abbiano mai generato società prive di violenza…

Questo è davvero opinabile: quasi tutto l’oriente ha una visione fondamentalmente relativistica, che spesso tende a includere tutte le fedi i una unica “verità”. Ma la storia umana mostra che le violenze e le intolleranze ci sono sempre state eccome, anche se in altre forme. E le guerre sanguinarie propriamente dette ci sono state eccome.

… anzi, il fatto che su di essi si siano fondati poteri repressivi e intolleranti, dimostra che il rispetto della dignità altrui non dipende dalle pretese filosofiche di conoscenza della verità, quanto piuttosto dalla capacità umana di provare empatia e amore per ciò che è umano al di fuori di sé e dentro di sé.

Qui c’è una contraddizione finale che conferma quanto detto sopra: che cioè anche il relavisimo in quanto “pretesa filosofica” fra le altre non garantisce assolutamente nulla. Eppure si sostiene la sua superiorità sulle altre impostazioni filosofiche o di fede. Sulla base di cosa, se non a sua volta di una fede?

Ecco la contraddizione del relativismo: si presenta come “umile pensiero” ma alla fine non è neanche in grado di mostrare la sua supposta superiorità. Il cristianesimo invece non è una filosofia e non si preoccupa di mostrare una superiorità con questioni argomentative o dialettiche (anche se non si possono escludere del tutto, come sto facendo in queste righe ad esempio), perchè, concludendo con la parole di Benedetto:

All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una presenza, con una persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, una direzione decisiva.

(Deus Caritas Est , Benedetto XVI)

Chissà se il nostro Gallarino ha mai letto “Fede, Verità, Tolleranza”, libro di Ratzinger di grande successo che affronta proprio di queste domande; sarebbe interessante aprire un dialogo e un confronto sulla base di quello che egli ha veramente detto e scritto sull’argomento e non sulla percezione che se ne ha.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *