Il mondo al contrario, o il Regno: dal saio di S. Francesco alle medaglie del Generale

di ritorno da Assisi una contemplazione sulle reliquie del Santo mi porta a pensare l’oggi polarizzante che mi provoca un certo disagio interiore.

Oggi sono stato ad Assisi. Da turista, più che da pellegrino, ad essere sinceri. Nella stupenda Basilica Inferiore, mentre mi preparo a scendere giù i gradini per la rituale visita alla tomba del Santo mia moglie mi indica una stanza laterale dove, mi dice, è presente un reliquario, dove vi sarebbe anche il saio originale di S. Francesco.

Leggi tutto “Il mondo al contrario, o il Regno: dal saio di S. Francesco alle medaglie del Generale”

Salvezza da che cosa ?

Twitter ispira domande serie. Dalle esternazioni di MedBunker sul vino alle domande più serie di ‘Cristiano’. Da che cosa dobbiamo essere salvati?

Un paio di thread su Twitter mi portano a una riflessione più ampia per cui ho bisogno di più spazio e parole per argomentare meglio. Oltretutto una domanda – che ho avvertito come sincera – di un certo ‘Cristiano‘ mi ha indotto a fermarmi, meditare un poco, spendere qualche minuto in più per esprimermi. E lo ringrazio di questa opportunità.

Tutto è partito da una mia reazione – ad essere onesti polemica – al seguente tweet di un certo “Federico Ronchetti” che reagiva – a sua volta polemicamente – a un titolo di stampa (come al solito travisato dai giornalisti, ma sorvoliamo) sul “testamento spirituale” di Benedetto XVI (reperibile integralmente sul sito vaticano).

https://twitter.com/bzimageit/status/1609346347500544001?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

In questo passaggio il Ronchetti mal comprendeva il concetto di “fallimento della scienza” di cui (avrebbe) parlato Benedetto, confondendolo con il metodo sperimentale che fa leva, anche e soprattutto, su fallimenti e approssimazioni successive che consentono l’avanzare della conoscenza secondo il paradigma scientifico moderno.

Oltretutto il defunto pontefice non ha usato quell’espressione, anche se il senso poteva starci, se però adeguatamente contestualizzato. In Italia il giornalismo ci ha purtroppo abituato a dei virgolettati completamente reinventati dai giornalisti, con le conseguenze che ben possiamo immaginare: vengono messe sistematicamente in bocca alle persone parole che non hanno detto. C’è da chiedersi perchè allora usino il virgolettato se le parole sono reinterpretate dal giornalista, ma su questo ci vorrebbe un post a parte.

Vediamo intanto cosa veramente Benedetto ha scritto nel passaggio che il giornalista ha reinterpretato in quel modo:

Spesso sembra che la scienza — le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro — siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza; così come, d’altronde, è nel dialogo con le scienze naturali che anche la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità.

(Benedetto XVI, Il mio testamento spirituale, Agosto 2006 reso noto il giorno della sua morte 31.12.2022)

Dunque il pontefice emerito si riferiva al fallimento non della scienza, ma di un certo pensiero pseudoscientifico (usa infatti l’espressione “sembra che…”) che ammaliandosi di razionalità pretendeva – dall’illuminismo in poi e per tutto il XIX secolo, di falsificare tout-court la fede e i sui argomenti – soprattutto con l’ausilio delle scienze esatte e con una esegesi biblica basata su criteri esclusivamente storiografici – pensando di poter prima o poi essere in grado di dimostrare definitivamente la non sussistenza o infondatezza della fede stessa: in particolare quella cristiana che ha la pretesa di avere, nella figura del Cristo, un fondamento storico preciso. Questo non solo non è avvenuto, ma anzi le scienze naturali non hanno fatto che moltiplicare le domande di fondo rimanendo aperte tutte le domande esistenziali (teorie fisiche della Relatività, fisica quantistica per prime) mentre l’esegesi biblica anche fondata storicamente ha finito per confermare la fondatezza della chiave interpretativa della gran parte dei dati di fede, oppure li ha irrobustiti mediante una adeguata purificazione e reinterpretazione del concetto stesso di rivelazione (dei Verbum, Concilio Vaticano II). “Fondatezza della fede” non va presa come affermazione in senso scientifico-razionalista come se una retta ragione pretendesse di avere un ragionamento o di una dimostrazione razionale della fede: per il credente è infatti solo necessario che la ragione “non falsifichi” propriamente la fede, ovvero che lasci aperto uno spazio, un accesso, una “finestrella sufficiente”, per credere quella fede. La ragione può invalidare la fede solo quanto ha degli argomenti veramente robusti e inconfutabili per negarla, ma non può confermarla. Può solo lasciare uno spazio libero, comunque necessario per non rendere una fede irragionevole (fondamentalismo).

Così sono dunque da interpretare le parole del titolista di giornale che parla di “fallimento“: anche se Ratzinger non parla mai di “fallimento” ne tanto meno “della scienza” ma appunto denuncia e demistifica un pensiero filosofico-ideologico che ha tentato di usare la scienza per la propria agenda. Questa agenda, dice il pontefice, possiamo considerarla oggi fallita, anche se alcuni continuano a insistere con quegli argomenti; ma è indubbio che il loro tono è molto più ridimensionato e meno potente di quanto lo fosse decenni addietro, a causa del fatto che il positivismo razionalista, sebbene goda di importanti influenze pregresse stratificate nella cultura, ha ormai sempre meno spazio non solo nella filosofia, ma anche fra molti scienziati non certo credenti: la fede non è affatto messa all’angolo, ma è ancora qui con le sue domande e le sue questioni aperte.

Nel mio tweet di replica, che segue, ho cercato brevemente di sintetizzare questo concetto e un altro utente a firma “Cristiano” risponde garbatamente con una domanda da un fantastiglione di euro:

Già: salvezza da cosa?

La domanda si fa grossa assai. Impossibile rispondere esaustivamente, ma tentiamo comunque di farlo con qualche argomento spicciolo, a tentoni, senza troppe pretese, ma senza scadere in banalità e frasi fatte.

Partiamo un poco alla larga, prendendo spunto da un altro tweet di questi giorni di un noto “debunker” che si fa chiamare appunto @MedBunker, un ginecologo che da anni è impegnato su internet a sbufalare tutte le false credenze in medicina e che apprezzo moltissimo, e seguo, per il suo instancabile lavoro di corretta divulgazione scientifica (molto bello il suo blog medbunker.it). Come però fanno molte di queste persone, che credono molto nella scienza, finiscono a volte per crederci troppo. Cosa vuol dire? Vediamo un esempio, anche se un po’ banalotto.

Il nostro debunker reagiva a un tweet polemico di Matteo Salvini che polemizzava definendo “gravissima” l’iniziativa de l’Unione Europea che vorrebbe proporre l’imposizione su vino, birre e liquori di un’etichetta che li identifica come “pericolosi per la salute” (un po’ come avviene per le sigarette):

https://twitter.com/bzimageit/status/1614259060219543553?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

Come si evince dalla mia risposta, facevo notare che l’aspetto puramente biologico-medico-chimico della questione è solo uno delle variabili: vi sono anche in gioco questioni sociologiche, culturali, molto diverse da paese a paese che dovrebbero essere prese in considerazione allo stesso modo, invece di pretendere di uniformare il tutto sotto la luce singola di un’unica variabile.

Popoli diversi hanno leggi e regole diverse perchè hanno culture, valori, comportamenti e convenzioni differenti: non si può affermare che una certa scelta sia moralmente superiore (come sembra supporre il nostro debunker) solo perchè sia “scientificamente fondata”. Quando invece la scelta di cosa fare di quel risultato scientifico non è affatto scientifica, ma squisitamente politica. Quando ho fatto notare questa questione la risposta è stata la seguente:

https://twitter.com/bzimageit/status/1614267319446044674?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

ancora una volta il presupposto ideologico che c’è dietro questa argomentazione è che “la scienza” e suoi risultati hanno il completo diritto (in virtù di una supposta superiorità oggettiva e quindi morale) di una precedenza di qualche tipo su altre forme di valutazioni certo non negate, ma in quanto ritenute meno “scientifiche” (cultura, storia…) con meno legittimità argomentativa. Come a dire: “la scienza ha la precedenza e ha il diritto di scalzare gli altri”. Il problema di fondo è che in realtà non esistono “soluzioni scientifiche”, ma solo risultati. Le soluzioni invece sono solo argomenti etici ed in fin dei conti politici, rispetto alla tecnica possibile del momento. Notare come il nostro blogger dia valutazioni di carattere assolutamente morale quando dice “non è gravissimo; è giusto!” dando così definitivamente un valore etico-morale a decisioni presuppostamente ritenute “scientifiche” ma che invece scientifiche non sono affatto; un conto infatti è il risultato scientifico conseguente l’assunzione di alcool, un conto è la decisione su cosa vogliamo fare a valle di questi risultati: qualunque essa sia non avrà nulla di scientifico. La scienza ripete continuamente nei propri paradigmi che essa non può dare risposte né politiche né etiche né di morale né religiose. Eppure molti la usano proprio in quelle direzioni li. Il @MedBunker, ad esempio, dall’alto della sua supposta moralità superiore, non sembra preoccuparsene, e da giudizi morali ed etici sulla base di argomenti scientificamente solo apparenti.

Onestamente non saprei quanto valga la pena di mettere certe etichette sul vino: ma come il lettore avrà capito non è questo il punto.

E qui veniamo al punto, allora: abbiamo disperatamente bisogno di qualcosa, qualcuno, un’idea, una concezione che ci salvi… che ci faccia sentire che, seguendola, siamo, o saremo finalmente al sicuro. In posto di pace, tranquillità e serenità, gioia e felicità. Questa dimensione umana è irriducibile. Più cerchiamo di scansarla, più si ripresenta con tutta la sua forza. Cosa ci farà trovare tutto questo, o una sua parte? Può essere la scienza (una parte della cultura di oggi sembra volerci dire questo). O la tecnologia: il trans-umanesimo, l’intelligenza artificiale che ci darà nuove vie; la ricerca scientifica che ci darà l’immortalità; o l’esplorazione spaziale, che ci salverà fra migliaia di anni da una (presupposta) estinzione inevitabile etc…

Ma cosa centra tutto questo con la domanda del signor ‘Cristiano’ su cosa sia la Salvezza? Da cosa dobbiamo salvarci davvero?

Da cosa vogliamo veramente essere salvati? Infondo infondo, a ben vedere, vogliamo essere salvati dall’ingiustizia o da quello stato che noi percepiamo come ingiusto, distorto, in qualche modo sbagliato che ci sta intorno sempre, in ogni momento. Percepiamo istintivamente e inconfessabilmente che ci siano troppe cose sbagliate a questo mondo per poter essere accettabili. E non è così oggi, da adesso. E’ da sempre: dagli albori della civiltà: ogni nostro antenato, fino ai nostri nonni e ai nostri padri hanno sentito questa percezione; sempre. Ma perchè? Perché tutti percepiamo di essere contornati di una fondamentale ingiustizia? In famiglia, negli affetti, nella società, nello Stato, nella politica, nel mondo? Anche quando siamo davvero da soli non siamo mai soddisfatti: c’è sempre la sensazione costante che ci manca qualcosa di realmente e pienamente appagante. Sono pochi, davvero pochi i momenti di grande e piena gioria, felicità interiore, pace, senso di essere un tutto con tutto che ci circonda. Eppure non facciamo che desiderare continuamente di essere uniti al tutto che ci circonda, e però percepiamo nostro malgrado, di esserne costantemente separati. Gli amori terminano, a volte con delusioni enormi, gli affetti e in nostri sogni e convinzioni prima ritenuti solidi si infrangono miseramente difronte le nostre miserie e fragilità. Eppure sentiamo che questo non è ciò a cui siamo chiamati: desideriamo altro.

Insomma sentiamo profondamente l’esigenza di un Messia. Può essere qualsiasi cosa, o un qualcuno. Non ha importanza: un concetto, una idea, una ideologia politica, un fondamentalismo religioso, o un credo o una fede mite e pacifica, una pratica meditativa, o una attitudine mentale probabilmente inconsapevole come il nostro @MedBunker o la fede cieca nella scienza, nella tecnologia, nell’intelligenza artificiale. Ogni volta che attribuiamo a qualcosa una sorta di superpotere che va oltre le reali capacità di quel qualcosa lo stiamo implicitamente “messianizzando”, almeno in parte.

Oppure la guarigione da ogni malattia. Ad esempio un altro tweet un certo Maclarca mi rispondeva in questo modo qui:

https://twitter.com/bzimageit/status/1614284024343658497?s=20&t=Y4YDH0qDoms0mfW0-fMTYg

notare come la “cura del cancro” viene portato ad esemplificazione estremale di una condizione umana fondamentalmente insopportabile: la paura della morte. La madre di tutte le paure, di tutte le separazioni, di tutte le ingiustizie.

Non stiamo parlando del semplice decesso, quello dei polli, dei vermi o dei bisonti. Ma della morte: una abisso non solo biologico, ma misterioso, che solo l’uomo sperimenta davvero. Che solo l’uomo non vuole far altro che fuggire con disperazione. Non è il semplice “istinto di sopravvivenza” tipico degli animali: è qualcosa di fondamentalmente diverso, che lo include, ma lo supera.

Lo stato di separazione, distorsione, sostanziale ingiustizia in cui viviamo costantemente ha origine ultima e ontologica nella paura della morte. Non dal timore, che sarebbe sano e retto, ma dalla paura.

Il timore è conseguenza della ragione e dell’amore. La paura invece della distorsione e dell’irrazionalità. Rimanere nella paura ci fa permanere nello stato di separazione.

Le varie forme messianiche, i vari surrogati che l’uomo crea da solo, come la Torre di Babele, non possono che dare soluzioni effimere e parziali.

La sapienza orientale (buddismo) chiama questo stato misterioso di separazione “karma”. Mentre la rivelazione cristiana l’ha elaborato come “peccato originale”, usando un nome a dire il vero non proprio chiarissimo. “Caduta” per usare un termine più biblico.

Ecco: sentiamo di essere dei “caduti” che in realtà meritano qualcosa di più elevato, di più alto rispetto a quello che viviamo tutti i giorni. Sentiamo di non meritare quello stato di separazione, desideriamo l’unità, la pace, l’integrazione con il mondo piuttosto che l’esserne separati. Vogliamo essere uno con il mondo e con tutti; in una parola vogliamo amare. Ma non ci riusiamo veramente fino infondo.

La rivelazione ebraico-cristiana prova a portare un messaggio nuovo: che per uscire da questo stato bisogna iniziare prima a sentirsi amati (ovvero riconoscere la grazia nella mia vita). E che noi non siamo e non ci identifichiamo con i nostri peccati, cioè i nostri limiti e le nostre distorsioni, anche quando queste sono originate da noi.

Purtroppo abbiamo una concezione troppo moralistica del peccato e pensiamo che siano soltanto i semplici “atti che facciamo” oppure certe “cose sporche” e “sbagliate” che commettiamo. Purtroppo anche una certa pastorale tradizionale della Chiesa Cattolica, con una amministrazione del sacramento della confessione ancora limitato al “auricolare” degli atti non aiuta ad andare in profondità al senso profondo del peccato, rimanendo solo nella superficie, e con ciò perdendo una grossa opportunità pedagogica, di crescita personale e di autentica liberazione.

Il peccato è un qualcosa di molto più ampio e profondo. E’ fondamentalmente uno stato da cui vogliamo essere salvati. Quello stato sbagliato in cui sentiamo si permanere sebbene non vogliamo. Da esso si può uscire in tanti modi, non esclusi la preghiera, la meditazione profonda e altre pratiche ascetiche presenti in molte tradizioni iniziatiche.

Ma fondamentalmente è la fede. Quella in Gesù Cristo inaugura questo processo: io credo che sia un modo fondamentalmente credibile, non perchè l’abbia sperimentato fino infondo: ma attraverso le vie ascetiche e mistiche che con lui e mediante lui ho avuto modo di assaggiare molti antipasti di quel senso di liberazione, di salvezza, che è possibile almeno in parte vivere mediante la fede; già qui e ora, anche se non pienamente.

E’ questo in sostanza il kerigma del Cristo che l’evangelista Marco riassume così: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 4,15)

  • Il tempo è compiuto; tradotto: è possibile sconfiggere nella nostra vita e nella storia l’era della distorsione, della separazione, della oppressione perchè ora qualcosa è cambiato.
  • Il Regno di Dio è vicino; tradotto: puoi uscire da questo stato di oppressione, distorsione, ingiustizia, fin da ora.
  • Convertitivi; tradotto: cambia modo di pensare, di ragionare e vedrai che il mondo inizierà a prendere una piega nuova.
  • …e credete al Vangelo; tradotto: buona notizia; quella gioia, quella felicità che tanto desideri viene dalla fede ed è possibile iniziare ad accederla. Qui e ora.

Non tutti i problemi saranno risolti, ma un orizzonte nuovo si aprirà davanti e quella vita eterna comincerà a sbocciare dentro di te per poi proseguire in chi ti sta attorno, e nell’eternità dei tempi.

E’ questo da cui dobbiamo essere salvati: l’abisso insopportabile della nostra finitezza.

Scheda dati asilo nido: i papà senza casa

il modulo di compilazione dei recapiti telefonici dell’asilo nido mi ha fatto riflettere. I papà oggi sono, di fatto, discriminati e pre-supposti essere genitori di serie B. Questo purtroppo avviene nell’indifferenza generale, senza un preciso intento discriminatorio, eppure il silenzio e l’indifferenza che si perpetua, è parte della generale ingiustizia ai loro danni.

Oggi ho compilato la “scheda dati” dell’asilo nido di nostro (=mio e di mia moglie) figlio, finalizzata principalmente a dare quanti più recapiti telefonici possibili, da contattare in caso di necessità: genitori, nonni, zii…

Il modulo predisposto dall’amministrazione mi ha colpito.

Eccolo riprodotto qui sotto: Leggi tutto “Scheda dati asilo nido: i papà senza casa”

Lettera e Preghiera per Vittorio Arrigoni “Vik”

Caro Vittorio “Vik”,

Ora che contempli l’assoluto, quell’assoluto che forse non intravedevi quaggiù, sai molto meglio di noi cosa vuol dire “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. Aspettando che a noi tutti meglio ancora lo contempleremo nel mondo ricreato che insieme attendiamo quando il Signore ci svelerà ogni cosa. Leggi tutto “Lettera e Preghiera per Vittorio Arrigoni “Vik””

Triplice essenza (poesia)

Nell’augurare buone feste ai miei lettori, vi propongo una icona natalizia fuori dai generi e la poesia che avevo anticipato nel precedente post.

Buon Natale! (ma di chi?) e felice 2010!

Per chi fosse curioso sulla lettura simbolica di questa icona orientale, si veda

Triplice essenza

Non ho un Corpo;
il mio Corpo sono.

Non ho una Mente;
la mia Mente sono.
Non ho uno Spirito;
il mio Spirito sono.


nel Triplice Amore
la Bellezza che salva,
sovrasta le mie umane fatiche.
Mi trascende imponente.

E nel contemplar si Bellezza Divina,
la pur bestial natura bieca s’arrende
ai miei sensi gioiosi
che nel profondo
rieccheggiano mistici canti
di vita eterna.


Una volta nella vita


Stavolta niente provocazioni, niente ragionamenti cervellotici, niente polemiche in stile blog-fabrizio.

Ci sono cose che si fanno una sola volta nella vita. Una di queste è il proprio matrimonio… ma anche annunciarlo alla famiglia, agli amici, organizzarlo… e poi soprattutto viverlo.

I curiosi vadano sul nostro sito: www.lizzaefabrizio.it

Amicizia azzarda

Sebben ratio consulta
Che prudenza propone
Ma se chiaro risulta
Che coscienza dispone

Che il dado sia tratto!
Poi cuor pur si duole
Se avviene il disfatto
Essa certo sì vuole

All’offeso ben si mostrerà
In qual sede Ella ha scelto supplizio
Che insieme all’amica Verità
Mai teme giudizio

dedico questa poesia a una mia amica alla quale tempo addietro avevo promesso una poesia sull’amicizia. Non è facile che accada il momento dell’ispirazione…perchè solo alcuni fatti della vita la portano con se.

Il mito della «persona giusta»

Anelli Nuziali
Nella vita, si dice «bisogna trovare la persona giusta».

Spesso, quando fidanzati, o più drammaticamente dei coniugi, pongono fine alla propria esperienza affettiva (qualcuno la chiama “storia”, ma a me questo sembra un termine molto riduttivo, quasi nullificante) si sente dire spesso che «…non era la persona giusta». C’era l’amore, c’erano tanti momenti felici… ma alla fine si finisce col dire che «proprio non era la persona giusta».

Mentre la prima frase «bisogna trovare la persona giusta», non può che essere ragionevolissima nella sua tautologica retorica, l’altro atteggiamento risulta invece decisamente più perverso e pericoloso.

Non solo: la spasmodica ricerca della «persona giusta», aggravata da certune delusioni, può in certi casi degenerare in atteggiamento di chiusura, che in realtà vuole solo espiare e negare un certo fallimento.

Spesso la persona giusta finisce con il diventare nella mente una proiezione della persona perfetta, quella che non può che essere 100% compatibile con la nostra idea di persona giusta. Un’ utopia. L’utopia che ci impedisce di mettere in discussione noi stessi, una sorta di anestetico fantasioso del dolore e della delusione, che ci illude che non sia necessario o addirittura dannoso, non dover concedere nulla di nuovo all’altro.

La mitizzazione del concetto “della persona giusta” finisce con l’escludere, in ultima analisi, una seria riflessione su noi stessi: la “colpa” e la responsabilità di un fallimento finisce con l’essere dell’altro… oppure è attribuita al destino, che ci ha fatto incontrare con la «persona sbagliata». Ma cosa dire di noi stessi ?

Quando un amore iniza o addirittura viene suggellato da un impegno più serio chiamato matrimonio (non lo intendiamo qui come sacramento: sono ahimè pochi coloro che ancora ci credono) accade sempre che nessuno dei due protagonisti pensi che l’altro «non sia la persona giusta», salvo poi scoprirlo con delusione quando tutto è ormai perduto. Cosa è cambiato ?

Spesso quando si dice «non è la persona giusta» si intende in realtà «è un tipo di persona che ha fatto superare il mio limite di sopportazione». A nessuno però viene in mente che questo limite può essere innalzato, oppure che lo avevamo sovrastimato oppure che avevamo sottostimato la “sua” capacità di superarlo. Fare tutto questo è troppo costoso in termini emotivi. Mettere in discussione se stessi, scoprire con drammaticità che quel limite è così facilmente stato infranto, porta la persona a una crisi profonda: meglio dunque crogiolarsi pensado che «purtroppo non era la persona giusta». Il destino diventa il capro espiatorio. L’ essere umano, compreso “l’altro” , viene deresponsabilizzato. E’ il preludio del fallimento totale.

A volte accade che persone che rinunciano alla «persona sbagliata» e cambiano in favore di un’altra ritenuta «piu giusta» (dopotutto è proprio in questa ottica che avvengono molti divorzi) finiscono esse stesse per cambiare…. a fare bagaglio delle proprie esperienze negative passate. Ed ecco quindi che il motivo vero per cui effettivamente si ritrovano a stare meglio con la seconda, è che sono cambiate loro, a causa della precedente bruciante esperienza; ma non se ne sono accorte, o prefersicono non ammetterlo. Più facile ammettere che ora, finalmente, «hanno trovato la persona giusta».

Tutto questo avviene perchè il nostro orgoglio tende a non farci fare passi indietro davanti a una persona dopo che abbiamo già costruito un rapporto…. mentre invece è più facile e confortante fare il passo indietro già da subito, da prima di legarsi ad essa: in questo modo implicitamente si riconoscono i propri errori, ma non davanti alla prima persona, ma di nascosto da tutti, compresi noi stessi. In pratica è più costoso «spostare i paletti» dopo piuttosto che farlo prima.

Il motivo fondamentale di tutto questo è che tutti si illudono di non dover mai spostare i propri paletti anche a distanza di molto tempo. La vita di coppia viene intesa come una qualcosa che, una volta stabilizzato il rapporto, non deve subire variazioni. I paletti devono essere fissati a terra una volta per tutte con il cemento armato e pensano che il fidanzamento non serva altro che a decidere una volta per tutte dove stendere questa colata di cemento. Il rapporto non deve subire contraccolpi. Però nessuno discute mai di come affrontare la vita quando questi contraccolpi ci saranno. Perché, prima o poi, ci saranno. Pensare in modo semplicistico che questi contraccolpi, a volte non troppo seri, a volte più seri, a volte drammatici a volte addirittura tragici non possano esserci, è ingenuo e illusorio. «Se c’è l’amore» tutto verrà risolto, si pensa.

Quante coppie si fanno, l’un l’altra domande drammatiche del tipo:

  • «Cosa faresti se io un giorno ti tradissi?»
  • «Cosa faresti se io rimanessi malato o infermo per tutta la vita e se questo significasse enormi sacrifici per te? E se io rimanessi sulla sedia a rotelle ? Se perdessi le gambe, o le braccia?»
  • «Cosa faresti se io perdessi il lavoro e questo significasse vendere la nostra casa e fare una vita insieme al limite delle nostre possibilità economiche, e rinunciare a quasi tutto quello che abbiamo?»
  • «Cosa faresti se un nostro figlio morisse di overdose e questo fosse in qualche modo attribuibile a una mia precisa responabilità, pur indiretta ?»
  • «Cosa faresti se ad un certo punto si scoprisse a accadesse che uno di noi, o entrambi noi, siamo sterili e non possiamo avere un nostro desiderato figlio?»
  • «Cosa faresti se io in circostanze drammatiche commettessi un omicidio a andassi in galara per 20 anni? Mi saresti sempre vicino e mi aspetteresti per 20 anni?»

Se uno è grado di porsi seriamente domande così drammatiche, avrà certamente meno problemi nella vita a spostare certi paletti, perchè avrà ben chiaro difronte a se che spostare certi paletti, non è così grave come invece lo sono altre ben più gravi cose che possono capitarci nella vita.

Dunque… non dobbiamo cercare la persona giusta? Certo che no! Sicuramente ci sono «persone adatte» e «persone non adatte» a noi…. questo è chiaro.

Ma quante coppie si sono fatte domande così drammatiche, guardandosi dritto negli occhi, e non solo dirsi un semplice “ti amo!” ?

cancelliamo la parola amore

Ciò che non si comprende, bigognerebbe tacerlo.

L’amore è quasi una ossessione dei nostri tempi. Un concetto sfuggevole, sul quale è stato scritto tutto e il contrario di tutto. Eppure si continua a crederci, a volerlo, a cercare di comprenderlo.

Questa situazione, a mio avviso, deriva da una molteplice attribuzione di significato di questa parola che confonde non poco le persone e gli animi. E’ come se nel nostro vocabolario esistesse un unica parola per indicare “automobile”, “autocarro”, “furgone”: ci sarebbe più confusione tutte le volte che ci serve un automezzo per andare in vacanza oppure per fare un trasloco.

La parola “amore” si trova nelle stesse condizioni: una sola parola nella gran parte delle lingue occidentali (francese “amour”, inglese “love”, spagnolo “amor”) per indicare tre concetti diversi. I greci, avevano prima di noi capito tutte queste differenze e usavano infatti tre parole differenti: philia, eros, agàpe.

L’amore ha un soggetto (chi ama) e un oggetto (cosa viene amato). Quindi è una relazione dal soggetto all’oggetto. Ognuna di queste relazioni provocano benessere, soddisfazione e godimento in chi la esercita (soggetto). Non è detto che valga anche il viceversa, quindi la relazione può non essere simmetrica.

Ecco i tre concetti:

  • Philia: il soggetto si compiace nel condividere qualità, sentimenti e cose insieme all’oggetto. Un esempio è il classico sentimento di amicizia: due amici stanno bene insieme perchè condividono qualcosa ed è questa condivisione il proprio legame.
  • Può essere espresso con la relazione simbolica:
    S –||– O
    a indicare che fra soggetto e oggetto c’è un qualcosa di condiviso.

  • Eros: il soggetto si compiace nell’avere dell’oggetto qualità, sentimenti e cose che egli non ha e che desidera. E’ una relazione di desiderio appunto, di aspirazione ad avere o ricevere qualità che l’oggetto può offrirci. Egli gode e si compiace nel ricevere. Esempio classico, ma non unico, l’amore erotico fra i sessi: l’uno cerca nell’altro la complementarietà, il desiderio dell’altro per qualcosa che manca a ciuascuno di loro. Lo schema in questro caso è:
    S <<--- O
    a indicare che il soggetto “ama” perchè riceve “amore”.
  • Agape: il soggetto si compiace e gode nell’offrire al soggetto qualità, sentimenti e cose. E’ una relazione di donazione, fine a se stessa. Esempi: l’amore del genitore per un figlio, l’amore di Dio per l’uomo nel cristianesimo: Il Padre offre suo figlio, Cristo, per la salvezza degli uomini. Lo shema in questo caso è:
    S —>> O
    E’ l’offerta totale di “amore” verso l’alterità.

Ma la realtà non è così banalmente semplice: spesso questi “tipi di amore” si intrecciano e sovrappongono. Prendiamo ad esempio il solo caso dell’amore uomo-donna: quello che più forse ossessiona la società di oggi (perchè evidentemente è così in crisi): è innegabile che deve esserci una relazione di philia in quanto è difficile concepirlo senza che essi condividano qualcosa: una visione, un idea, un sogno, un valore. Deve necessariamente esserci eros perchè c’è un innegabile desiderio di “avere” l’altro tutto per se. Ma deve esserci anche agàpe ossia il desiderio di donare. Donare se stessi all’altro. Senza quest’ultimo questo “amore” è destinato a fallire presto. Anzi quest’ultimo deve essere il più forte di tutti perchè mentre in alcuni casi gli altri tipi di “amore” possono subire una crisi per cause esterne, l’ agape dipende solo da noi stessi ed è l’unico sul quale possiamo davvero agire e contare veramente.

La non-coscienza dell’agape nel cuore delle persone come forma di amore al di sopra degli altri (e questo senza escludere l’importanza degli altri) è la causa principale
della crisi dell’amore nei nostri tempi. Il dilagare dei divorzi, ad esempio, sono un fulgido esempio: essi sono quasi sempre dovuti alla mancanza di agàpe oppure a una sua falsa forma: un agàpe che termina quando termina l’eros o il philia non è un agàpe sincero, ma era un agape finto e non pienamente vissuto.

Faccio una proposta provocatoria: cancelliamo la parola “amore” dal vocabolario e sostituiamola con 3 parole derivate dal greco. Forse dovremmo chiedere consiglio a
l’Accademia della Crusca?

Approfondirò questi concetti nei prossimi post.