Ridicolezze da antisessismo estremo

L’uso del linguaggio “non sessista” proposto da fantomatici gruppi di studio o università porta al ridicolo l’uso della lingua italiana: quando l’ideologia si mostra contraria alla ragione e al buon senso.

Qualche settimana fa mi imbattei in un articolo su web: mi colpì l’uso della parola “sindaca” al posto del più comune sindaco. Pensai che era un uso voluto e scrissi agli autori del sito, protestando per un uso improprio della lingua. Nel frattempo mi documentai meglio su questo fenomeno linguistico “non sessista”.
Una responsabile del sito rispose alla mia provocazione ammettendo sostanzialmente la forzatura “formale”, in quanto sindaca non esiste nel vocabolario, e allo stesso tempo denunciando “una società in cui permangono tracce di discriminazione verso le donne praticamente ovunque, anche per quanto riguarda la lingua”.

E così scopro che su internet esistono siti dedicati a combattere il sessismo linguistico [1] e addirittura un documento stilato da l’ Università degli Studi di Palermo [2], una specie di decalogo da seguire per un linguaggio non discriminatorio nei confronti delle donne. Ne è nata una interessate a approfondita discussione e confronto, per la quale ringrazio mentelocale.it per la disponibilità e tempo dedicato.

Alla fine mi sono convito che il discorso sostenuto dalla loro redazione era senz’altro sostenibile: usare sindaca non è poi una forzatura così problematica, in nome, diciamo così, di una maggiore giustizia linguistica.

Ma ci sono taluni siti e documenti che si trovano in rete [1] [2] di cui resto francamente basito. Cito solo alcuni esempi:

  1. non bisognerebbe dire “Procedere a passo d’uomo… “ ma “…Procedere lentamente”  [3]
  2. non “Diritti d’Autore” ma “Diritti di copia/riproduzione” [3]
  3. non “in costume adamitico” ma “Senza indumenti, senza vestiti” [3]
  4. non “Maria e Carlo oggi Sposi” ma “Carlo e Maria oggi si sposano” [3]
  5. non “Omicidio” se la vittima è donna ma “Femminicidio” [3] (ma cosa diremo se c’è una vittima maschio e una femmina?).
  6. non “l’uomo della strada” ma “le persone della strada” [2]
  7. non “I romani, gli ateniesi…” ma “Il popolo romano/ateniese…” [2]

gli esempi sono davvero tanti e alcuni davvero divertenti, lascio al lettore incuriosito andarseli a leggere.

Ci sono alcune questioni che rendono tali posizioni, fondamentalmente malate di smania di politicamente corretto, opinabili in quanto:

  1. ignorano il fatto che certe espressioni da loro suggerite al posto di altre alterano la semantica. Ad esempio “Maria e Carlo oggi Sposi” non è esattamente la stessa cosa di “Carlo e Maria oggi si sposano”: la prima descrive lo stato del loro essere sposi, mentre la seconda esprime l’ atto di sposarsi (che non rientra nella categoria semantica dell’essere ma del fare). “Costume adamitico” è carico di un significato simbolico-semantico, e se vogliamo anche poetico, molto più ricco di un asettico “senza vestiti”.
  2. tutti gli esempi suggeriti sostanzialmente aggirano ma non risolvono il problema fondamentale: che la lingua italiana usa il genere maschile quando riferito al numero plurale. Per risolvere questo bisognerebbe o introdurre un genere neutro nella lingua, che non esiste, oppure un numero plurale dedicato a generi misti; ad esempio usare lavoratori al plurale maschile, lavoratrici al femminile e un terzo (nuovo?) numero, che non oso ipotizzare, per un genere misto. Questo non risolverebbe comunque l’uso di alcune parole con sostantivi differenti ad esempio uomo / donna (ne introduciamo un terzo?). La lingua inglese, ma solo in alcuni casi, ad esempio risolve il problema con Man/Men – Woman/Women verso People, ma loro distinguono coutable e uncountable piuttosto che la declinazione sul genere; è una questione sintattica.

Il secondo problema in effetti è il più serio: la lingua italiana è fatta sintatticamente così e per risolvere il problema alla radice bisognerebbe agire sulla sintassi: invece le proposte assurde che vedo in giro o agiscono al livello puramente lessicale (diciamo pure senz’altro accettabile) o al livello di formulazione del periodo, alterando però la semantica. Tutto questo in nome di un uso politicamente corretto suggerito da fantomatiche ed erudite posizioni  intellettualistiche che non solo obbligano a liste senza fine di “casi d’uso” ma obbliga ad una lingua codificata in senso moralistico (“questo si può dire” / “questo no”) anziché su regole grammaticali e semantiche precise e codificate, che tutti liberamente possono utilizzare. Sotto sotto si cela una concezione sostanzialmente illiberale della lingua, che invece di proporre regole da condividere impone liste di proscrizione dall’alto della propria cattedra.

Insomma la lingua rischierebbe di trasformarsi da un insieme di regole a una specie di espressioni concesse e altre proibite; mi ricorda l’indice dei libri proibiti di antica e censoria memoria, un vero e proprio moralismo linguistico di cui francamente non se ne vede il senso ne la necessità; è anzi un modo radicale e irrazionale (perché non tiene conto della lingua in se) di rincorrere maniacalmente strutture politicamente corrette che o sfiorano il ridicolo o forzano ad una innaturalezza contro la quale la più semplice intuizione popolare di certo si opporrà, facendo fallire simili ridicoli progetti ideologici, in quanto velleitari.

Conclusione: sia pure il benvenuto l’uso di “sindaca”, “ministra” o di “amministratrice delegata” o anche di “capa redattrice”, perfino se possono oggi suonare un po’ strane; evidentemente sembrano tali solo perché non siamo abituati al loro uso, ma non presentano problemi oltre questo: e quindi “forzarne” l’uso sembra ragionevole proprio per scavalcarne l’unico ostacolo, il fatto cioè che non sono usate. Evitare però altre soluzioni specialmente quando non rispettano la semantica oppure obbligano a complessità inutili, cioè sovrabbondanti rispetto a quanto necessario per far comprendere un messaggio, che è il primo scopo della lingua.

E’ veramente curioso che tali proposte vengono fatte da gruppi che si definiscono “di studio” [1] oppure di estrazione addirittura universitaria [2] quando lo studium e la ratio dovrebbero comprendere un analisi ad ampio raggio; invece costoro, con una operazione riduzionistica e ideologica che oscilla tra l’impressionante e il ridicolo, mostrano che il loro modo di vedere il mondo non è affatto “ad ampio raggio” e “inclusivo”; al contrario paiono avere a fuoco un solo unico dogma: demolire ciò che ritengono politicamente scorretto con il loro moralismo politicamente corretto. Se poi la lingua non serve più al suo scopo primo, non conta: conta solo il dogma, la fede nell’ideologia di cui sono portatori.

Sarà pur vero che la lingua che ci portiamo dietro risente di un passato patriarcale, ma non credo che accanendosi verso la lingua si rende giustizia a certi problemi della condizione della donna: non bisogna dimenticare quale è il primo intento di una lingua: esprimere una semantica, cioè comunicare con delle regole, non una lista di espressioni concesse e altre proibite. La giustizia sociale, invece risiede decisamente altrove: questi progetti ideologici sono destinati a rimanere carta straccia: la gente non li seguirà perché irrealistici e anti-pratici.

Inoltre aggiungo che oggi le donne sono ancora ahimè drammaticamente discriminate in tanti ambiti: nel mondo anche occidentale ancora sono oggetto di violenze che pensavamo essere superate. Penso che è in quell’ambito che dobbiamo esprimere priorità e non certo accanendosi ideologicamente verso la lingua.

[1] Blog “il sessismo nei linguaggi”

[2] Suggerimenti per l’uso di_un_linguaggio non_sessita_e_non_discriminatorio (Univ. Studi di Palermo)

[3] Blog “il sessismo nei linguaggi” / La breviaria della nuova lingua


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    troppo lungopoco chiaronon ci avevo mai pensato
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    5 pensieri riguardo “Ridicolezze da antisessismo estremo”

    1. Ho anche commentato questo post nel sito con fonte [1] [3] nel seguente modo. Vediamo cosa rispondono….


      Mi sfugge cosa c’entri la citazione Giovannea nel titolo “In principio era il Verbo” non essendo qualcosa di strettamente linguistico ovvero lessicale-sintattico-semantico ma riguarda più specificamente il concetto di Parola di Dio, che in quel caso altri non è che la Persona di Gesù Cristo; Ma qui invadiamo il campo della fede e della teologia: è proprio necessario in questo contesto?

      Un’altra osservazione mi pare essere che le vostre critiche contro le dinamiche che accusate frontalmente vi possono essere facilmente rivolte contro: parlate giustamente della paura e dell’uso della lingua. Bene: non vi pare che il vostro radicalismo linguistico non vada a far leva proprio su una connaturale diffidenza fra uomo e donna? Non vi pare che la vostra proposta linguistica, non abbia come conseguenza quella di affermare la radicale e inconciliabile lontananza fra i sessi, alimentando appunto reciproche paure? Volendo separare linguisticamente ogni minuta espressione, non fate che affermare una ideologia contraria ma non meno problematica di quella che accusate combattendola.

      Avete pensato al fatto che anche le vostre posizioni:
      (1) fanno leva proprio su delle paure e anzi le amplificano e
      (2) sono alquanti imbarazzanti quando dite che il linguaggio attuale è stato “imposto” quando in realtà si è andato semplicemente formando nei molti secoli di storia; nessuno si è messo a tavolino complottando contro le donne: semplicemente è “venuto” fuori quel linguaggio perchè era ritenuto diciamo “normale” e allineato alla realtà concretamente vissuta in quei tempi. Mentre invece voi con una operazione “a tavolino” davvero imponente dall’altro di un vero programma politico una scelta “pilotata” e imposta. Ed ecco che le stesse accuse che lanciate vi si rivoltano contro. Il vostro programma somiglia di più alle leggi fasciste di italianizzazione della lingua che non a un connaturale rispetto per una realtà che ci è stata trasmetta dai secoli e che nessuno, intenzionalmente, ha per così dire “progettato”.

      Cosa avete da dire contro queste obiezioni?

      Cordialità.

      Per nostra fortuna tutti i tentativi della storia di “controllare politicamente” la lingua sono più o meno tutti falliti.

    2. In alcuni ambiti si usa mettere un asterisco al posto dell’ultima vocale, quella che indicherebbe il genere. Ad esempio “Ciao a tutt*” per dire “Ciao a tutti e a tutte”.
      Mi sembra un modo demenziale ma diretto di risolvere il problema che poni nel tuo post. A furia di usare il computer ci siamo abituati agli asterischi… Forse finirà che ci saluteremo con “Ciao *” 🙂

      1. Ciao. Si, direi decisamente demenziale. Ha comunque il limite di agire al livello sub-lessicale, quindi meno che sintattico, quindi funziona solo quando la differenza maschile/femminile è al livello di singola parola, e solo se questa ammette una variante di genere variando una sillaba finale. Al di la se prenda o no piede, mi pare decisamente debole come soluzione. Grazie per il tuo contributo.

    3. io credo che il problema del linguaggio maschilista nasconde un problema più serio. che la società sia maschilista è ovvio in ogni occasione e il linguaggio ne è solo un’aspetto. Focalizzare il problema solo sul linguaggio mi sembra un modo riduttivo di affrontare un problema serio che è la condizione della donna nella società, sul posto di lavoro, in famiglia. il perchè qui al sud dell’europa ci sia più maschilismo di quanto ce ne sia nei paesi del nord è un fatto a cui non so dare una spiegazione, potrebbe essere l’influenza della religione cristiana che è molto maschilista, ma questa è solo una supposizione. sarebbe interessante fare uno studio approfondito sull’argomento. ma il dato di fatto è che la nostra società è maschilista mentre altre lo sono di meno e il linguaggio ne è solo una parte.
      saluti

      1. ciao @Mery, certamente è riduttivo, come dici, parlare solo di linguaggio.

        Ma sei proprio sicura che “qui a sud” la violenza delle donne sia maggiore? che saremmo noi i più maschilisti? La violenza sulle donne è solo parzialmente conseguenza del maschilismo. In molte realtà c’è poco maschilismo ma comunque molta violenza verso le donne. E i dati parlano chiaro.

        Ad esempio un cliché politicamente corretto dice che il femminismo in Svezia (giusto per citare una nazione simbolo) essendo anche antico ha mietuto più frutti e più velocemente nel nostrano “retrogrado sud”. E’ in parte vero. Come al solito la colpa (come tu stesso adduci) è sempre addossata al solito influsso del cattolicesimo retrogrado, antimoderno etc… al contrario dei paesi protestanti (ma ormai neanche più tali) che sarebbero più “aperti al moderno”.

        Bene: andiamo a vedere i fatti.

        Dalla pagina di wikipedia “violenza sessuale” non emerge una diretta relazione geografica laddove c’è maggiore o minore violenza (omicidi e stupri) a danno delle donne. Ad esempio proprio in Svezia, Usa, Regno unito questi fenomeni sembrano molto più diffusi che in Italia e Spagna i quali sono maggiori a loro volta di Olanda e Germania; sembra quindi non esserci una correlazione nord-sud o di matrice culturale, almeno nei paesi occidentali.

        Inoltre proprio in Svezia è emerso un fenomeno inquietante e “nuovo”: che molte mogli sono picchiate dai mariti e quando il fenomeno è emerso proprio in questi anni (2005) c’è stato vero shock per questo paese, che si credeva il primo della classe. La verità è che molte donne li sono picchiate ma non possono dirlo apertamente proprio perché è politicamente scorretto, imbarazzate. “I panni sporchi si lavano in casa” sembra essere la mentalità dominante: si, proprio in Svezia! E non si tratta di immigrati. Vedere per credere: un articolo d’archivio del Corriere.it spiega le dinamiche di questo fenomeno:
        La verità è che i paesi nordici tendono, in modo più efficacie e per cultura, a nascondere socialmente meglio certi fenomeni, che devono rimanere “confinanti in casa” per via della mentalità politicamente corretta ampiamente diffusa: una sostanziale ipocrisia. A sud, invece, siamo meno “vergognosi” a mettere in piazza certe cose.

        Secondo: riguardo la “cattiva influenza religiosa” che additi: si tratta, anche questo, di un altro cliché politicamente corretto forgiato e propagandato da una certa ideologia antireligiosa che più o meno serpeggia nella nostra società relativista dove è possibile affermare di tutto, purché non si dica che sia la Verità. Ma da quali fatti è supportata quella affermazione? Nessuno. Anzi, non si spiega il perché la violenza delle donne sia diffusa anche laddove il cristianesimo non abbia influenze ne culturali ne storiche (esempio India o Giappone per non parlare di tutti i paesi Islamici).

        Anzi in questi paesi sono proprio le donne cristiane a godere di una vita “de facto” migliore. Una delle cose che colpiscono di più dei cristiani in paesi dove essi sono autentiche mosche bianche e/o le varie chiese (anche cattolica) costantemente perseguitate (Vietnam, Cina, ma anche India e altri..) è proprio lo stile di vita delle donne cristiane a colpire di più (o a dar fastidio, a seconda dei punti di vista).

        Fa veramente sorridere, poi, l’affermazione che il cristianesimo sia “maschilista”. Ne ho scritto in un vecchio post su questo blog. A parte il fatto che “maschilismo” è un termine troppo moderno ed è scorretto se applicato alle epoche antiche nelle quali è più corretto parlare di famiglia patriarcale.

        Infatti la tua critica non spiega perché, e quindi non si capisce per quale ragione, i paesi oggi che rispettano di più le donne sono proprio quelli di civiltà cristiana. Perché?

        Non abbiamo avuto solo il cristianesimo ma anche umanesimo e illuminismo che hanno fatto la loro parte: ma sono due pilastri “figli” proprio del cristianesimo, anche su questo ne ho parlato in un’altro post in questo blog al quale rimando.

        E’ vero che il cristianesimo non ha trasformato la società da “maschilista” a non-maschilista o da patriarcale a non-patriarcale ma ha creato le precondizioni affinché ciò avvenisse. Infondo tante altre cose, e non solo questa, con la nascita della cristianità non sono mutate. Perché? Perché il mutamento è avvenuto più in profondità (ad esempio la schiavitù romana non è subito scompara – vale la pena leggersi la Lettera a Filemone di San Paolo): il cambiamento avviene nelle coscienze, prima che nelle varie prassi e leggi: si chiama inculturazione (si veda l’esempio di Matteo Ricci in Cina). E’ questo ciò che differenzia l’avvento della civiltà cristiana da altre, ad esempio quella islamica che è invece acculturante, tende cioè a cambiare la fede attraverso il cambiamento dei costumi e del diritto, vedi concetto di shari’a islamica, e per fare questo deve necessariamente cancellare la cultura preesistente, senza possibilità di integrazione delle differenze, come infatti l’islam ha sempre fatto e fa tutt’ora. Mentre invece il cristianesimo non fa questo: conserva i costumi, gli usi e il diritto ma trasforma le coscienze in profondità, modifica l’antropologia, la concezione dell’uomo. Ed ecco allora che solo in un tempo successivo costumi e diritto saranno, eventualmente, trasformati, come conseguenza, non come precondizione alla fede.

        Un ottimo esempio di inculturazione è proprio quello che i Gesuiti fecero in Paraguay con le popolazioni indigene e che le potenze Spagnole e Portogesi mal sopportavano. Se ben ricordi la bomboniera del nostro matrimonio era proprio su questo tema con il CD del film Mission.

        Credimi, la verità che pochi dicono è che è stata la tecnologia e il progresso scientifico a “liberare” veramente le donne dal confine del focolare domestico e quindi dall’emarginazione dalle capacità decisionali: senza i trattori, le macchine che alleviavano i lavoro degli uomini e frigoriferi, le lavatrici, i pannolini e latte artificiale che alleviasse quello delle donne etc… non era strutturalmente ed economicamente pensabile ne conveniente ne possibile per la società permettersi che alla donna si potesse far fare altro che non stare a casa ad allevare figli e questo non perché qualcuno le costringesse a causa di piani cospirativi o presunta misoginia intrinseca degli uomini cattivi o a ipotetici progetti conservativi di stampo patriarcale spesso additati dal femminismo, ma semplicemente perché non era possibile “strutturalmente” una diversa organizzazione sociale ed economica, oppure non era conveniente fare diversamente. L’idea dell’esistenza di una “cospirazione storica” a danno delle donne perpetuata dagli uomini è una fantasia propagandata dall’ideologia femminista da tanti anni, ma che non è supportata da fatti storici.

        Un altro fattore molto molto importante che ha contribuito alla “liberazione” della donna è il drastico abbassamento della mortalità infantile: con essa è grandemente diminuito l’impegno, l’investimento in tempi e risorse per allevare figli: se ti muore un figlio di tre anni economicamente parlando hai buttato via quattro anni di lavoro, risorse, attività, energia. Il numero di gravidanze e di energie spese per esse era molto superiore al numero di persone che raggiungevano l’età adulta. Solo di recente questo rapporto si è fatto prossimo a uno. Quindi per ogni persona che raggiungeva l’età adulta per potersi riprodurre a sua volta (condizione per continuare una civiltà), l’investimento diciamo “energetico” da parte donna è drasticamente diminuito. Alla fine l’impiego delle donne nelle fabbriche ha fatto tutto il resto facendo nascere il femminismo il quale non ha fatto altro che destrutturare schermi calcificati, ormai già vecchi. Il femminismo è solo la causa apparente della liberazione della donna, in realtà esso è l’effetto inevitabile di un qualcosa che in qualche modo non poteva non accadere, anzi era diventato conveniente che accadesse.

        L’organizzazione sociale tende a convergere spontaneamente verso maggiori strutture di efficienza. Solo se cambiano le condizioni, è fattibile cambiare le strutture. E’ questo è accaduto solo dopo la rivoluzione industriale. Giusto?

        Aristotele sosteneva che l’economia “inizia” quando c’erano tre cose: un padrone che comanda, un bue che ara e una donna per fare figli. Espressioni come “focolare domestico” sono di origine romana. Era quella e solo quella una condizione quasi “obbligata” dall’economia antica che non consentiva evidentemente altre forme. E infatti era così più o meno ovunque. Ed è stato così fino a quanto l’economia era sostanzialmente agricola e di sussistenza: in termini storici fino a ieri. Solo dopo quando queste condizioni mutarono, ci si è potuto interrogare sulla condizione della donna… mi pare. Ma lo si è fatto proprio in occidente grazie al fatto che si “sapeva” già della “pari dignità” presente proprio nella concezione ebraico-cristiana. E non è accaduto altrove, forse anche perchè il progresso era arrivato prima qui. Giusto?

        Questi sono i fatti, mi pare. Il resto è propaganda.

        Anche altri fenomeni come la poligamia si spiega con il fatto che vi sarebbero stati altrimenti grandi quantità di giovani vedove in età fertile a causa, soprattutto in certi periodi, di alta mortalità fra uomini mariti adulti che cadevano sul lavoro o in battaglia. Anche qui la poligamia era una necessità sistemica, e non ideologica. Le ideologie sono invenzioni relativamente recenti della storia: nascono nell’ 800 con la rivoluzione francese e proseguono poi con liberalismo, marxismo, fascismo, nazismo, comunismo…etc…

        Ma torniamo al tema della violenza sulle donne.

        Un articolo di una nota testata non certo filo-religiosa (Repubblica) parla di problema delle violenza alle donne generalizzato in tutto il mondo; vale la pena dargli una letta.

        Visto che hai voluto aprire il tema religioso, lasciami dare qualche chiave di lettura più specificamente antropologica dal punto di vista cristiano, giusto per fare chiarezza.

        Il modo in cui l’uomo percepisce il bene e il male proviene fondamentalmente dalla concezione primordiale ovvero da come è creato il mondo e l’uomo. Il fatto che uomo e donna sono creati con pari dignità (“maschio e femmina li creò”) da Dio e che siano l’apice della Creazione stessa, e che questa è “cosa buona”, è un elemento chiave e caratterizzante del filone giudaico-cristiano, assolutamente unica che da un valore sul piano della dignità che nessun altro ha.

        Non è “curioso” il fatto che proprio una società “maschilista” o meglio patriarcale come era indubbiamente quella ebraica nel V sec. a.C. (quanto è stata redatta la Genesi) abbia “prodotto” una concezione che metteva uomo e donna in tale pari dignità? Come è accaduto questo? Non era più “naturale” che una società così ostile alle donne come quella ebraica “producesse” libri biblici ben diversi? Pari dignità non vuol dire pari diritti, è vero, ma crea la pre-condizione affinché possano esserci anche questi. Anche perché mentre il concetto di “diritto” è per natura legato alla momento e a contesto storico-geografico e all’impatto sociale di una certa organizzazione umana, la “dignità” è un concetto molto più alto che trascende il momento storico; è ciò che veramente “resta” per sempre, nei secoli.

        Ma perché c’è violenza sulle donne? Anche qui il testo della Genesi ci aiuta a capire la natura sia dell’umano che del male; dopo il peccato Dio ammonisce uomo e donna; in quel simbolismo la donna è significato della differenza dei sessi (Isha, cioè “uoma”) mentre l’uomo simboleggia tutta l’umanità. Ciò che viene detto alla donna riguarda la relazione fra uomo-donna e ciò che viene detto all’uomo riguarda l’umanità nel suo complesso (Adam=umanità in ebraico): con il male originato dal peccato si crea un rottura fra uomo e donna: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” e una rottura di comunione con il Creato “con il sudore del tuo volto mangerai il pane;” e l’annuncio della morte “polvere eri e polvere ritornerai”. Non si tratta di “castigo” inteso come punizione, ma come avviso di quali saranno le conseguenze del peccato.
        Conclusione: il peccato, cioè il male, provoca prima di tutto rottura dell’armonia uomo-donna, compresa dunque l’emergere della violenza verso le donne. Ovunque e sempre. Come noi osserviamo.

        Le Sacre Scritture celebrano l’amore fra uomo e donna in molti libri (primi fra tutti Cantico dei Cantici, Tobia). Molte sono le donne virtuose nella Sacra Scrittura: se analizziamo in profondità i personaggi e le storie bibliche nel loro complesso non emerge una sostanziale “minore virtù” della donna rispetto a l’uomo, ma questa dipende solo da quanto il personaggio (uomo o donna) è “vicino a Dio”; a me sorprende come tutto questo “venga” proprio da una civiltà, quella ebraica, dove indubbiamente le donne non avevano nessuna voce (come in tutte le civiltà adiacenti ad essa) e dove per giunta non potevano leggere la scrittura o pregare nel Tempio. Come si spiega?

        Nelle Sacre Scritture l’amore fra uomo e donna è visto come immagine (es. Libro di Osea o lo stesso CdC) dell’amore di Dio per la Chiesa e l’uomo. Le Scritture sono piene di immagini sponsali per descrivere l’amore di Dio (libri profetici, Isaia e soprattutto Osea); Gesù stesso usa queste immagini sponsali ed eleva il matrimonio a sacramento, per non parlare di come trattasse le donne e di quanto questo scandalizzasse molti (in realtà non faceva che riportare a una verità già presente in AT). Se oggi Benedetto XVI scrive in una enciclica che “l’amore tra uomo e donna, […] emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono.” (Deus Caritas Est, § 2) non lo fa per amicarsi nessuno, ma affonda nei significati più profondi dell’antropologia giudiaico-cristiana.

        Il messaggio cristiano, che è un messaggio di salvezza dal male, professa che l’armonia originaria (anche dunque del rapporto uomo-donna) può essere ripristinata proprio grazie al sacrificio di Colui che è il centro della Storia, nuovo Adamo (=nuova umanità) e unico Salvatore: Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, la cui grazia e sequela anticipa già da ora questa vittoria sul male, anche se questa sarà definitiva solo nella Sua seconda venuta, l’avvento del Regno dei Cieli.

        Grazie per il tuo commento.

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