Morì sotto Ponzio Pilato

Perché l’Incarnazione avviene proprio in un certo luogo e per una certa frazione di “mondo” escludendo di fatto ampie porzioni di mondo già esistente?

Ecce Homo

Una domanda – fatta da un collega che chiedeva una “consulenza religiosa” (parole sue) – suonava più o meno così:

Perché mai la vicenda dell’Incarnazione avviene proprio in un certo luogo e per una certa frazione di “mondo” escludendo di fatto ampie porzioni di mondo già esistente?

Provo a interpretare la domanda. Aggiungo: ma come è possibile che una fede che intende salvare tutti e che quindi ha una pretesa di universalità presenta poi un Gesù così “confinato” in un ambiente storico-geografico dopotutto limitato? Che colpa hanno i cinesi o gli indiani, fette così importanti dell’umanità che sostanzialmente non lo hanno conosciuto perchè ancora oggi non ne sanno sostanzialmente – ancora quasi – nulla?

Domanda grossa e super interessante. Che ha attanagliato una buona parte della mia ricerca personale di fede, in giovane età: quella ricerca che mi ha condotto oggi a quella che amo chiamare “fede ragionevole e una ragione solida ma aperta al mistero”.

Mi complimento per la domanda perchè parlando di incarnazione centra esattamente il punto; ma teniamola per un attimo da parte, centro assoluto di tutti i misteri cristiani, e osserviamo come in realtà ci sono diversi interessanti corollari della medesima domanda.

Eccone alcuni: perché Dio sceglie proprio un popolo particolare per rivelarsi, oltretutto un popolo minuscolo e così poco significativo dell’umanità noto come Israele? Anzi addirittura un popolo di fatto inesistente, in quanto secondo il racconto biblico nasce proprio in quanto scelto da Dio. Che razza di discriminazione è questa?

La domanda non riguarda solo lo spazio, ma anche il tempo: perchè tenere fuori dal messaggio di rivelazione tutti gli uomini venuti prima di Cristo? O anche quelli prima di Mosè, se pensiamo al principio stesso della rivelazione, al Roveto Ardente per intenderci. E quelli ancora prima? E gli uomini vissuti nel neolitico? E quelli che dipingevano le pitture rupestri di Altamira? E quelli che hanno fatto le diverse Out-of-Africa?

Perché Dio non poteva scegliere qualche altra modalità?

Pensiamo all’umanità che 100.000 anni fa viveva in Africa orientale e immaginiamo una tribù attaccata da un’altra tribù rivale: un villaggio completamente distrutto, dei bambini barbaramente uccisi. Che cosa hanno a che fare quei bambini con la figura di Gesù che redime tutta l’umanità ma che lo fa in un contesto umano e culturale completamente diverso, 88.000 anni dopo, e qualche migliaio di Km di distanza?

Morì sotto Ponzio Pilato, recita il Credo niceno-costantinopolitano. Strano che un tizio così ambiguo e certamente non positivo sia finito nientemeno che fra le cinque persone citate nel testo più importante che intende cristallizzare nei secoli i punti cardini di tutta la fede: affianco alle tre persone della Trinità, più la Vergine Maria, c’è lui, il quinto uomo: Ponzio Pilato. Nessun’altra persona viene menzionata. Cosa hanno voluto comunicarci i Padri di quel Concilio del 381 d.C. con questa strana e singolare scelta? Ne avevano di bei nomi da mettere, da attingere tanto dall’Antico quanto dal Nuovo Testamento, hai voglia! Ma niente, hanno scelto lui, Ponzio Pilato.

Una chiave di lettura classica risiede senz’altro nel fatto che si volle sottolineare come il Re Messia, figlio di Davide, si fosse sottoposto al potere umano, incarnato sia dall’Impero Romano che Pilato rappresentava, ma anche del fatto che era procuratore quindi chiamato a esercitare la giustizia umana, sottolineando per sempre l’inefficacia ultima degli intenti della stessa.

Ma c’è secondo me anche un’altra ragione: è che se togliamo dal Credo il nome di Pilato, il testo rimarrebbe a-storico e a-geografico. L’evento dell’Incarnazione potrebbe essere così un evento mitico, un Gesù vissuto in qualunque epoca o qualunque zona del mondo da una Maria qualsiasi del mondo. Scrivere invece Ponzio Pilato vuol dire collocare l’evento dell’incarnazione in una finestra temporale precisa di una zona geografica precisa della storia: laddove Ponzio Pilato era appunto “governatore della Giudea” (Lc 3,1). Gli antichi usavano infatti indicare i tempi e luoghi facendo riferimento a personaggi dell’epoca famosi.

Come ha saggiamente fatto notare Giulia Capasso in un recente e acuto editoriale DISF.org anche la teoria del Big Bang può essere legittimamente vista come un mito, senza per questo venir meno alle esigenze tanto della teoria scientifica quanto del mito. Ma Gesù no: non è un mito (in senso tecnico). Il Credo, con Ponzio Pilato, vuole dirci anche che Gesù non è un mito.

Fatta questa premessa cerchiamo di dare una risposta più diretta alla domanda che mi è stata posta, ma provo a farlo al modo di Gesù, non per concetti astratti o aride “spiegazioni”, ma con la più potente arma della analogia. Naturalmente funziona per quello che è, l’analogia ha i suoi limiti banali, che sono però anche la loro forza, come ha argomentato Roberto Mercadini nel suo geniale video Giotto spiegato coi videogames @ 23′.

Gesù è quel seme che, piantato in un campo deve crescere e fruttificare (Regno di Dio non a caso paragonato spesso al lievito o al granello di senape). Ma per fare questo ha bisogno di precondizioni: di essere piantato in un terreno fertile e opportunamente predisposto (cioè il Regno di Israele) che possa almeno essere in grado recepire il suo messaggio. La pianta di Gesù non sarebbe cresciuta in quella tribù di Sapiens di 100.000 anni fa, ne nell’uomo del neolitico nella valle del fiume Indo.

Se il Cristo è tale solo perchè incarnato allora deve incarnarsi per forza in quel contesto che gli consente di far crescere il Regno di Dio. Egli appare in un momento della storia e dello spazio in cui il Messia era effettivamente atteso (anche se con aspettative mediamente diverse). E tuttavia quell’aspettativa era necessaria sebbene non fu sufficiente affinché egli fosse accolto, ma questa è un’altra storia. In un contesto socio-culturale completamente diverso Gesù non è che sarebbe stato accolto o rifiutato: peggio non sarebbe stato proprio capito.

Dio si incarna laddove l’uomo sia in grado di capire ciò che egli dice: e quindi o rifiutarlo o accoglierlo. Ma non di essere ignorato.

Simile risposta si potrebbe dare al perchè Dio “sceglie” proprio Israele prima ancora di Gesù: che si sia rivelato a un popolo nomade, fatto di pastori, povero e contornato da grandi potenze dell’epoca come Egitto e Babilonia lo trovo estremamente affascinante. Un’idea proprio da Dio.

E’ attraverso questi strumenti semplici e poveri che Dio si fa grande, che conta di far crescere il suo di Regno: ci riesce grazie alla libertà di pochi, non alla potenza dei molti.

Noi pensiamo che sia davvero forte ciò che appare tale in termini di potenza, che quasi sempre comporta una violenza perchè per far fare il bene a chi non vuole farlo non hai altro modo che imporglielo con la violenza. Ma Dio, soprattutto quello Trinitario, non è così: ai servi che chiedono “vuoi che andiamo a strappare la Zizzania?” (Mt 13) egli risponde di lasciarla crescere, altrimenti strappiamo anche il grano: non siamo capaci di distinguere zizzania dal grano perchè il Regno di Dio non è ancora compiuto.

Se Dio consente ancora il male in questo mondo lo fa per l’insormontabile rispetto che ha per noi: ci consente perfino di compiere il male pur di non uccidere prematuramente la nostra libertà. Ora chiede il nostro aiuto: ma libero, e totalmente gratuito. Come gratuito è stato il suo amore, così gratuito se lo aspetta da noi.

Dio vuole e cerca la nostra collaborazione, come singoli e come umanità per costruire insieme a lui, non senza di lui. Non lo fa da solo o indipendentemente. Ma questo richiede tempo e pazienza, e molte generazioni.

Nella bibbia infiniti sono i riferimenti al fatto che la rivelazione trascende il regno di Israele e che è per tutta l’umanità. L’universalismo biblico sembra fare a pugni con il fatto che si tratta di un messaggio rivolto a un singolo popolo: perchè mai parlare di universale se si è rivelato in un contesto particolare?

E allora che ne è di quegli uomini che facevano pitture rupestri ad Altamira o quei bambini uccisi nel villaggio africano di 100.000 anni fa?

La redenzione Cristica è si “sotto Ponzio Pilato”, ma anche abbraccia tutta la storia.

Anche per questo motivo esiste il mistero della così detta discesa agli inferi del Sabato Santo: Gesù “porta” se stesso laddove “prima” o “altrove” non era stato possibile, o prematuro: il Catechismo afferma che “Gesù non è disceso agli inferi per liberare i dannati né per distruggere l’inferno della dannazione, ma per liberare i giusti che l’avevano preceduto” (CCC 633). Personalmente credo che (ma è una mia interpretazione personale) questa discesa vale sia nel tempo che nello spazio: Gesù redime anche chi non l’ha potuto conoscere per ragioni temporali o spaziali; non solo dunque il Sapiens dell’Africa di 100 millenni fa, ma anche con quel cinese delle province sperdute di oggi dello Xinjiang o degli altipiani dell’Altai, che non non ha mai sentito parlare di Gesù: egli per portare loro il suo messaggio ha scelto di affidarsi al popolo dei credenti. Liberi credenti.

E come lo fa? Non semplicemente con una giustizia che assolve tutti indistintamente, ma che giudica con il parametri di quel Cristo che è presente già in tutti gli uomini. Questo è possibile farlo solo da un dio che vede cosa c’è davvero nel cuore di ogni uomo: a tutti è dato quel tanto di suggerimenti dello Spirito sufficienti per la propria salvezza (parabola dei talenti, Mt 25,14-30). Il seguirlo o no nella piena libertà ci fa autentici attori del libero arbitrio della nostra storia personale, e come specie sulla faccia di questo pianeta. Specie animale si, ma animata dallo Spirito (altro aspetto dell’incarnazione). Impariamo a vedere il cielo dalla terra, non la terra dal cielo (cfr. Fernando Rielo).

Ma allora se tutti possono salvarsi anche senza conoscere il Cristo, a che serve Cristo? In realtà è proprio grazie a Cristo, alla sua passione / resurrezione che questo è possibile, come ho spiegato sopra con la discesa agli inferi.

Dio cerca collaboratori e amici con cui fare qualcosa insieme che chiama Regno di Dio: come quando due soci si mettono insieme per fare una azienda per creare valore. Solo che Gesù è un socio strano: non è ne di minoranza ne di maggioranza. Non è di minoranza perchè dice che per essere suoi amici dobbiamo fare quello che lui dice, punto (Gv 15,9-17): non proprio un socio che tutti vorrebbero, diciamo. Ma neanche di maggioranza perchè non fiata se non facciamo quello che dice. In quel caso non si incanzza, non da le dimissioni dal CDA, continua a essere azionista soluzioso, e ogni volta che lo cerchiamo lui c’è sempre a rimettere a posto i cocci della nostra vita che abbiamo sempre così incasinata.

Un amico vero, insomma: esigente si, ma non ti abbandona mai. Non è meglio di quello che dice che sei sempre bravo e a posto, che hai sempre ragione, oppure è non è mai d’accordo perchè egoista? E allora ti abbandona quando proprio non fai più al caso suo?

L’umanità ha molta strada da fare, non c’è dubbio: costruire il Regno di Dio con un socio-amico della prima specie è ovvio che richiede molto più tempo e pazienza che non con amici del secondo tipo. Soprattutto se sei una testa calda come Homo Sapiens: ma guarda un po’ è proprio in un Sapiens che gli è piaciuto incarnarsi! Sotto Ponzio Pilato, però.

Insomma: Dio fa così perchè solo così può veramente incarnarsi, che vuol dire farlo proprio nelle pieghe contraddittorie e complicate dell’umano. A lui piace una redenzione lunga, che abbraccia la storia (per arrivare ai cianobatteri qui sulla Terra ci ha messo miliardi di anni). Dio non ha fretta. Siamo noi che ne abbiamo troppa. Se si fosse incarnato con fuochi d’artificio che tutti vedevano e capivano da subito avremmo avuto da subito una redenzione totale, piena, definitiva: ma questo corrisponde alla descrizione escatologica (Vedranno il Figlio dell’Uomo venire sulle nubi , Mt 24,30) e allora sarebbe già compiuto il Regno di Dio. Non funziona.

Vallo a capire sto Dio qua! Infondo affascina proprio per questo: diciamolo, non è che si capisce poi tutto tutto eh!

Sennò la ricerca finisce. Il gusto del mistero ci spinge a ricercare, come nella scienza. Se sai già tutto che gusto c’è?

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