«Verranno i russi e staremo meglio»

Riporto, senza commenti ulteriori, un accadimento di oggi che mi ha molto colpito: l’incontro e una battuta fugace con una signora “russa di Odessa”.

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Oggi sono andato al lago di Albano con la famiglia e i bambini. Bagno, pranzo al sacco; giornata tranquilla, serena. Nel pomeriggio arrivano nella nostra piccola “spiaggetta” due signore bionde con un ragazzino sui 10 anni, biondissimo anche lui.

“Saranno ucraini”, mi suggerisce mio fratello, “qui ci sono molti profughi ucraini”. Infatti poco dopo sento il bambino dire a una delle donne “spasiba” dopo che gli aveva passato una tavoletta galleggiante in acqua. “E’ il grazie in russo, ma potrebbe essere anche ucraino”, penso, “visto che le lingue sono molto simili”. Passa il tempo, noi continuiamo la nostra gita, qualche sorriso fugace scambiato con le vicine.

Quando è il momento di andar via, prese tutte le nostre cose e iniziando ad arrampicarmi fra i sassi, dovendo passare tra i loro asciugamani e scambiando un gentile “scusate / prego”… non resisto alla curiosità e chiedo a una di loro “ucraini?”. E lei, sempre sorridendo, quasi aspettandosi la domanda, risponde: “No, russi. Di Odessa”. E io sorpreso per la risposta, rispondo a mia volta mentre mi allontano: “…un posto sfortunato….”. E lei subito, quasi avesse già la risposta pronta: “No no…. adesso verranno i russi e staremo meglio“.

Il mio filo-ucrainismo in questa incredibile guerra di inizio secolo in Europa, che non è altro che la conseguenza per una brutale aggressione, non mi impedisce di empatizzare anche con la gente che si vede dalla “parte opposta”. D’altra parte un conto sono le posizioni politiche un conto i sentimenti delle persone.

Non mi sento però di proseguire una discussione che non porterebbe da nessuna parte e che infondo non mi interessa. Rimango colpito, ma vengo via salutando garbatamente.

Mentre torno per il sentiero verso l’auto, sento sentimenti contrastanti. Da un lato esce fuori il mio ego di italiano-europeo ospitante e che difende le ragioni storiche e giuridiche dell’Ucraina, avrei voluto quasi rinfacciargli a viso aperto: “ah si… allora come mai vi trovare accolti in Italia, in Europa, in Occidente e non dalla Madre Russia che tanto tiene al vostro bene? Perché dunque non andate in Russia?”. Ma poi ripensandoci è meglio che non glielo abbia detto: infondo cosa so io delle loro storie, delle loro sofferenze, del loro vivere tutto questo, del loro pellegrinare? Un profugo per la guerra ha diritto al rispetto: con questo pensiero rientro in me e mi compiaccio di non avergli risposto.

Mi colpisce come possano ancora esistere persone dal pensiero così centrato sulla propria etnia e sul proprio nazionalismo, da cui sono distante anni luce in questo felice angolo chiamato Unione Europea. Distante da quei valori che oggi nutrono la bellicosità e il revanscismo russo; conseguenza, dico io, di un paese fallito che dalla caduta dell’URSS ha perso 40 anni di opportunità per divenire una paese moderno, avendo tutte le carte in regola per diventarlo, anche seguendo un modello suo proprio, se proprio quello occidentale non lo gradiva. La Cina l’ha fatto, cosa ha impedito a russi di poterlo fare? E invece no: siamo ancora attaccati ai miti dell’impero, manie di grandezza, falsità propagandistiche che la gente si beve come fosse una droga per anestetizzare la crisi di identità in cui la società russa è ormai sprofondata, sia chiaro, per proprie responsabilità e incapacità storiche della sua classe dirigente.

Questi pensieri mi affollavano la mente tanto che nel sentiero di ritorno mia figlia ogni tanto mi diceva “papà a che pensi?”. E cerco di spiegargli un poco, come si potrebbe fare a una bambina di 11 anni, ciò che mi girava per la testa.

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