Va molto di moda riempirsi bocca della parola laicità, il dogma che deve essere condiviso da tutti. Senza eccezioni. Ciò che stupisce è che tutti si dicono laici, ma ognuno a modo suo. Senza entrare nella polemica laicità vs laicismo, mi pare di capire che ci sono in giro due modi di concepire la laicità:
(1) Secondo alcuni essere laici vuol dire opporsi in ambito pubblico al pensiero religioso. Se una proposta viene dal mondo religioso (che però è più fico chiamare clericale) allora questa non può avere lo stesso diritto di cittadinanza di tutte le altre idee: questo in quanto il pensiero religioso deve essere per definizione relegato nell’ambito delle scelte personali e non può e non deve trovare spazio in un ambito pubblico (=ovvero politico, da polis). La laicità e la religiosità sono due concetti antitetici e non conciliabili. Lo stato laico dovrebbe, in ambito religioso, al massimo preoccuparsi di consentire a tutti di praticare liberamente la proprie convinzioni religiose, purché esse rimangano in quell’ambito ristretto della pratica personale e non diventi dibattito o argomento pubblico.
(2) Secondo altri essere laici vuol dire dare la stessa dignità tanto al pensiero religioso quanto a quello non religioso, senza fare distinzione fra di essi. Tutti i pensieri possono avere lo spazio e la dignità se le persone che lo propongono rispettano le regole democratiche e i fondamenti di una società che è, appunto laica e che si confronta su tutti i temi con delle regole proprie e indipendenti non solo dal credo religioso, ma da qualunque altro schema prefissato. Ne consegue che uno stato laico può accogliere regole e fondamenti che sono provenienti tanto dal mondo religioso così come da quello non credente creando così un humus comune per di una società plurale. Questo humus viene generato secondo la dialettica politica esprimendo con le leggi ciò che si è attinto dalle varie istanze ideali, religiose o no che siano.
Sono due modi contrapposti di intendere la laicità: sui giornali e nei vari dibattiti viene usata a volte nell’una a volte nell’altra accezione. Fate attenzione a quale si tratta, per non farvi fregare dalla disinformazione e da un uso strumentale che finisce per logorare il senso delle parole, quando vengono usate troppo e con troppi significati.
Intanto pongo qualche domanda provocatoria:
- Come mai quando alcune posizioni politiche che sono di estrazione dal mondo “religioso” e che però sono largamente condivise (ad esempio appello alla carità verso gli immigrati) non fanno quasi notizia e soprattutto nessuno protesta di “idebita ingerenza nello stato laico”? Come mai questa “ingerenza” si materializza misteriosamente solo su certi argomenti e non su altri? Non sarà perché certe idee non piacciono?
- In che modo la (1) si concilia con il rispetto di tutte le idee e della democrazia ?
- La definizione (1) non è forse un comodo escamotage per sottrarsi al dibattito inerente il merito delle questioni sollevate? E’ molto comodo evitare di affrontare le questioni nel merito con la semplice scusa che quel pensiero non può essere dibattuto in quanto all’origine c’è un approccio religioso. Non è un modo per non affrontare certe domande imbarazzanti? Perché sottrarsi a un confronto piuttosto di rispondere con argomenti concreti nel merito?
- Non è che, forse, sotto sotto la (1) cova un pregiudizio secondo il quale il pensiero religioso sarebbe per definizione aprioristicamente irrazionale e che non abbia nulla di buono da offrire a chi credente non è?
- In che modo un credente potrebbe contribuire allo spazio politico pubblico se gli viene negato il diritto di contribuire secondo le sensibilità che sono lui proprie? Al credente (e solo a lui!) viene dunque chiesto di mettere la parte le proprie idee e convinzioni: ma chi porterebbe avanti delle idee che non condivide e non sente come sue?
E voi come vi sentite laici ?