WhatsApp: da una Vignetta al Padre Nostro al “date a Cesare”: ma che diavolo è ‘sto Regno ?

In uno dei tanti gruppi WhatsApp fra colleghi dove spesso, si sa, si “cazzeggia” un po’, passa una vignetta di Alberto Zuccalà, girata nei social, che allude alla recente uscita Salviniana circa il suo “affidamento alla Madonna” (mi viene orrore a scriverlo, è per dovere di cronaca). La vignetta recita: “Si è affidato alla Vergine Maria perché col Padre Nostro gli sarebbe toccato rimettere i debiti”.

Un collega, sebbene sia, come si dice, “notoriamente distante dalla fede”, argutamente osserva quello che a me era sfuggito:

Osservazione più che corretta in quanto effettivamente la vignetta confonde il concetto di “rimettere” con “scontare”, cioè l’esatto opposto. A rigore le due cose non sono mutuamente escludenti, ma sorvoliamo….

Quindi si becca il mio encomio, seguito da una battuta:

e la discussione prosegue così:

Ecco, mi sembra che questo blog sia il posto giusto per riparlarne. D’altra parte il blog mi serve proprio a questo.

Prima di tutto citiamo il passaggio integrale (ho qui scelto Matteo, ma la versione è praticamente identica in tutti e tre i sinottici; per chi volesse c’è anche wikiepedia):

15 Allora i farisei si ritirarono e tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nelle sue parole.
16 E gli mandarono i loro discepoli con gli erodiani a dirgli: «Maestro, noi sappiamo che sei sincero e insegni la via di Dio secondo verità, e non hai riguardi per nessuno, perché non badi all’apparenza delle persone. 17 Dicci dunque: Che te ne pare? È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, disse: «Perché mi tentate, ipocriti? 19 Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli porsero un denaro. 20 Ed egli domandò loro: «Di chi è questa effigie e questa iscrizione?» 21 Gli risposero: «Di Cesare». E Gesù disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio». 22 Ed essi, udito ciò, si stupirono e, lasciatolo, se ne andarono.

Mt 22,15-21

Alcune osservazioni:

  1. L’espressione “date a Cesare quel che è di Cesare” è una delle più note anche nella cultura di massa, nel mondo laico o laicizzato. E’ stata ed è una delle più abusate, nel presente come nel passato. Sia da parte di Principi e Imperatori, per leggittimare le proprie nefandezze, sia da una certa predicazione della Chiesa per legittimare strutture clericali spesso di fatto sbilanciate sul piano temporale.
  2. Queste espressioni però non vengono ricordate interamente per come Gesù le ha dette: si cita solo la parte che fa comodo omettendo quella scomoda: alla prima bisognerebbe aggiungere “…e a Dio quel che è di Dio”. Dunque per “dare a Cesare” bisogna prima riconoscere quali sono i “diritti di Dio” (se ci si crede): lo vedremo più avanti.
    Un fenomeno simile si ha con il famoso “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,34-40) sempre citato da solo, quando però Gesù lo cita in modo strettamente congiunto a Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo, dice il Nazareno, è il più grande e il primo dei comandamenti: in pratica non si può amare il prossimo senza amare Dio: frase su cui molti laici non sarebbero volentieri d’accordo, pur citando spesso la parte edulcorata (di questo non posso parlarne qui per esigenze di sintesi ma sarebbe interessante capire cosa vuol dire veramente).
    Per dire che le citazioni vanno prese integralmente, se vogliamo discutere di cosa stiamo parlando.
  3. Va ricordato che quell’episodio non capita in un momento qualunque della predicazione del Maestro, ma quando egli aveva da poco rovesciato i banchi dei venditori e cambiavalute dal Tempio, e aveva anche dribblato con astuzia la domanda (del tutto legittima) da parte dei sacerdoti del Tempio che gli chiedevano con quale autorità facesse queste cose (Mt 21,23-27). Insomma aveva attirato su di se l’attenzione non certo benevola delle autorità, e l’atmosfera intorno a lui cominciava a essere “calda”, tanto che l’epilogo sarà poi a breve l’arresto, il processo e la condanna a morte.
  4. La geniale risposta di Gesù aveva come obiettivo principale sia di smarcarsi dalla trappola ma anche di smascherare la doppia ipocrisia dei suoi interlocutori (Erodiani e Farisei, che anche se di fazioni opposte erano interessate solo al Potere). Gesù li chiama ipocriti che sarebbe meglio tradurre come “commedianti”: da un lato essi non volevano affatto sapere la vera risposta, ma intenti a incastrare Gesù in quando con siffatta domanda egli sarebbe stato in difficoltà qualunque risposta avesse dato: se rispondeva “si” sarebbe stato messo in discussione come Messia, se rispondeva “no” si dichiarava nemico del Romani. Con quella risposta Gesù evita l’una e l’altra. Ma ci da anche una grande lezione che va ben oltre l’astuzia di quel momento.
  5. La seconda ipocrisia non era meno importante della prima: Gesù denuncia il fatto che loro stessi, avendo in tasca quella moneta (e maneggiando in quantità proprio quei denari in quanto classe dirigente) accettavano implicitamente il potere Romano. Insomma: l’impero romano non portava solo pene, tensioni e ingiustizie, ma anche opportunità (sopratutto proprio per una certa classe di persone, ricchi e potenti) a causa proprio della moneta “unica”, gli scambi commerciali, la pace generalizzata con i popoli limitrofi (la famosa “pax augustea”).
  6. Gesù vuole dire che non si può rigettare il potere di Cesare accogliendone solo quella parte che ci fa comodo, ma se si riconosce a Cesare certe prerogative bisogna anche accogliere le conseguenze che questo comporta, nel bene o nel male assumendosene la responsabilità. Che non è più “degli dei”. Il potere è così desacralizzato in quanto messo completamente nelle mani degli uomini. Va ricordato infatti che per la mentalità dell’uomo antico il potere era per definizione teocratico; lo era per gli Ebrei che non solo rimpiangevano i re ormai mitizzati come Davide e Salomone, ma concepivano il Messia come Re temporale; lo era per i romani che concepivano “Tiberio Cesare, figlio del dio Augusto”; sia per tutti gli altri popoli che hanno sempre utilizzato gli dei come strumenti di potere. Questa concezione del potere Gesuana è un novum assoluto sulla faccia della terra: si chiama laicità. In questo senso la pretesa donazione di Costantino, falso storico, era una forzatura, un retaggio della mentalità imperiale, non Vangelo autentico.
  7. Va ricordato che anticamente la monete con l’effige dell’imperatore erano considerate “proprietà dell’imperatore” il quale la “concedeva” in uso. Gesù ricorda a costoro che il semplice fatto di averla in tasca implica che si accoglie l’autorità imperiale: allora, il ragionamento di Gesù diventa: se tu, uomo, accogli e accetti questa istituzione umana che è appunto il Cesare di turno, allora devi accettarne anche tutte le conseguenze che essa comporta. Sei tu, uomo mortale, che con il tuo stesso comportamento legittimi il potere di Cesare, chiunque esso sia! Oggi la situazione non è molto diversa: possiamo pensare alla BCE come un “Cesare” di oggi: chi usa l’euro ne riconosce implicitamente l’autorità che a questo punto non viene da Dio, ma dagli uomini. Possiamo dire che il potere in quanto “necessità di avere una autorità” è si voluto da Dio, ma il modo in cui esso di declina dipende tutto dagli uomini. Facebook pare stia per lanciare una moneta propria: cosa varrebbe se nessuno gli desse credito? Quel potere non è solo nelle mani di Facebook ma anche di chi lo legittima.
  8. La frase di Gesù potrebbe sembrare superficialmente la legittimazione di qualsiasi autorità, anche la più dispotica: non è così. La perenne tradizione della Chiesa si è sempre interrogata su questa domanda e la risposta è sempre stata negativa, sia per i Padri della Chiesa e perfino per il grande San Tommaso che certo non ha fama di rivoluzionario in senso Marxista: l’aquinate e altri filosofi medievali giustificano il Tirannicidio (interessante a tal proposito la pagina omonima di Wikipedia) quindi la messa in discussione e la disobbedienza dell’autorità ingiusta discende direttamente dal principio di laicità enunciato da Gesù: infatti è proprio la discrimine che viene posta fra Dio e Cesare a fissare cosa appartiene a l’uno e cosa invece no. Nella concezione teocratica assoluta non c’è limite a quello che il sovrano può fare, quindi la sua autorità sarà sempre legittimata. Così era infatti per l’autorità imperiale romana. Gesù non da a questa un potere assoluto ma la asseconda ai diritti di Dio: la sua legge e il rispetto della vita.
  9. Va precisato, per dovere di completezza, che in effetti anche in presenza di autorità ingiusta (pensiamo per esempio al Fascismo o Nazismo) non è mai completamente annullato il “diritti di Cesare”. Ogni ordine costituito, anche il più precario, informale e sanguinario eserciterà sempre delle attività che sono in qualche modo legittime (pensiamo ad esempio all’ordine pubblico) per cui la persona non è autorizzata a fare quello che vuole per il semplice fatto che si è in presenza di autorità riconosciuta come tirannica: se ad esempio rubo e a incarcerami è una spietata SS Nazista questo non fa della SS Nazista un potere senza legittimità (purché la condanna sia commisurata al reato, si intende). Insomma l’autorità costituita avrà sempre, almeno in parte, “una certa legittimità” per il semplice fatto che esiste. Questo vuol dire che “almeno qualcosa è sempre dovuto all’autorità” perchè ci si aspetta che certe cose siano sempre e solo prerogativa di essa. Infatti quando cadde il Fascismo si diede l’amnistia ai detenuti politici non certo a furfanti generici tipo i ladri. Logico. Con questo esempio si può capire meglio cosa vuol dire che il potere è in qualche modo “voluto da Dio”: è in questo perimetro che va riportato il senso, non certo come legittimazione di qualsiasi potere.

Cosa significa questo? Che lo stato, l’autorità politica è assolutamente necessaria per la vita della polis e dei credenti in essa. La città abitata dagli uomini e dalle donne abbisogna di ordine, di legalità, di giustizia, e dunque la politica non può essere ignorata, né si può vivere in società senza un’autorità cui rispondere lealmente.

Monastero di Bose

Siccome Gesù ha rifiutato di essere Messia politico ne consegue che il modo in cui si declina Cesare è esclusiva competenza e discernimento degli uomini che nel fare questo devono di volta in volta decidere: senza però dimenticare che vi sono dei “diritti di Dio” che hanno precedenza.

Nelle moderne legislazioni i diritti umani codificano con il giusnaturalismo giuridico il concetto che esistono dei “diritti superiori” inalienabili da qualunque “Cesare”. Essi includendo la libertà religiosa e altri diritti basilari restituiscono “a Dio quello che è di Dio”, pur senza fare una scelta confessionale particolare.

E’ chiaro che il gioco ricade totalmente nel definire quale sia questo limite, questo discrimine fra ciò che spetta a Cesare e ciò che invece spetta a Dio (o per chi non crede a una “Giustizia superiore” se la ammette).

Gesù conferisce a l’uomo una piena responsabilità e sopratutto una grande libertà di coscienza: non è codificato ne codificabile quale sia questo discrimine una volta per tutte, dunque sta alla sola coscienza dell’uomo sulla base delle proprie capacità, nel proprio tempo, stabilire questo limite.

Un tempo appariva legittimo che Cesare mettesse al rogo gli eretici per conto di Pietro, poi ci siamo accorti che il Regno di Dio non aveva bisogno di questo, anzi…. il Regno di Dio è un processo, un divenire, inaugurato dall’evento dell’Incarnazione del Verbo.

Certo che se non si crede ne in Dio ne almeno in qualche forma di “giustizia superiore” (giusnaturalismo) sarà difficile porre qualsiasi freno a Cesare perchè non farebbe che monopolizzare la scena: sia esso rappresentato da poteri Statuali (oggi sempre più deboli) sia da da quelli tecnocratici o finanziari, da Amazon, Google o Facebook… o semplicemente la Pubblicità, la propaganda interessata etc…

Un’ultima risposta è dovuta al mio caro collega e amico che adduce “l’altra vita” come alternativa a Cesare che sarebbe così sempre legittimato in quanto, tanto, la vita vera si realizza nell’aldilà, e quindi nell’aldiquà tutto sarebbe legittimato e, dopotutto, superfluo. Mi chiedo in quale documento, catechismo o predicazione del papa o testimonianza dei santi abbia mai letto di queste cose. Perché io, in anni e anni di omelie ascoltate in chiesa, catechismi, sussidi e altri libri letti, catechesi e discorsi di vari papi, esempi dei santi, non ho mai letto ne sentito di queste cose.

Quando Gesù inizia la predicazione il nucleo del suo messaggio viene riassunto nelle parole che ripete alle folle: “Tutto è compiuto: Il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo“. Ma cosa è questo Regno di Dio? Prima di tutto è vicino, quindi non è una cosa che riguarda l’aldilà ma l’aldiquà. “Essere nel mondo senza essere del mondo” (Gv 17,14) oppure “siate il sale della terra” (Mt 5,13-16) sono tutte frasi che lasciando intendere come la missione e la proiezione del cristiano è in questo mondo. Vicino vuol dire che esso è già qui, presente, ma per vederlo occorre entrare nello Spirito di Dio e “ragionare” secondo logiche diverse. Non è difficile: è esattamente quello che si prova entrando in questa logica. Io stesso, sperimento ogni giorno questo Regno come concreto e attuale, lo vedo realizzarsi nella mia vita.

Il cristiano è un cittadino strano: ha la patria nel cielo ma vive e opera sulla terra. Cito dalla celebre Epistola a Diogneto, un piccolo gioiello letterario per capire i cristianesimo dei primi secoli:

[i cristiani] Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati.

Epistola a Diogneo, V.5-11

La teologia protestante ha coniato un’efficace espressione per “spiegare” il Regno di Dio: “già e non ancora”: il Regno sarebbe già presente sebbene non ancora compiuto. Questo compimento, avverrà si nella “fine dei tempi” ovvero “il mondo nuovo”, il tempo escatologico, quello che banalmente chiamiamo “aldilà” (anche se non è corretto). Anche il cattolicesimo ha accolto questa felice espressione tanto che papi ormai lo citano senza problemi.

L’uomo è chiamato a collaborare a questo compimento, sebbene il pieno compimento non sia nel potere degli uomini, il messaggio di Gesù è esattamente un invito a iniziare qui e ora, in questa vita, in questa terra un lavoro nuovo teso a rivoluzionare il mondo trasformando il cuore degli uomini.

Il “non ancora” ha anche una importantissima conseguenza pratica: relativizza ogni pretesa del potere mondano. Infatti nessuno può mai affermare di aver “compiuto” il Regno di Dio o qualsiasi cosa gli possa assomigliare: Gesù mette in guardia di non credere a nessuno quando afferma di averlo compiuto. E’ così è dato scacco matto a ogni ideologia della storia, a ogni narrazione mitica del potere con pretese assolute.

Gesù non spiega teoreticamente cosa sia il Regno di Dio, lo fa in parabole, le così dette parabole del Regno. Non credo di poter spiegare meglio di Gesù cosa sia il Regno di Dio quindi chi vuole saperlo non credo abbia meglio da fare che andarsi a meditare quei testi.

Una risposta molto efficacie alla questione del cambiamento rivoluzionario in questo mondo è una risposta efficacie di 3 minuti del prof. Guzzi alla trasmissione radiofonica “Uomini e Profeti” in onda qualche giorno fa:

prof. M. Guzzi alla questione rivoluzionaria
(inizio a 7′ per circa 3′, quindi fino a 10′ ca.)

(nota bibliografica: alcuni spunti sono stati tratti da Monastero di Bose)

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