C’era un vecchio gesuita «furbaccione»

Non capita tutti i giorni di ricevere in omaggio e in amicizia un libro autografato dall’autore: così mi è accaduto giovedì scorso con un libro sul papa, di recente pubblicazione da Le Paoline, C’era un vecchio gesuita «furbaccione» – 100+10 parabole di Papa Francesco di Lugi Accattoli, ex vaticanista, ora a riposo, e Ciro Fusco. Il libro raccoglie una antologia di aneddoti narrativi, storie che Papa Francesco racconta, riporta, o rielabora nei suoi discorsi, interviste, predicazioni insomma quella che (in parte) chiamiamo Magistero Pontificio.

Ringrazio Luigi di cuore dell’omaggio e non essendo potuto venir meno alla sua richiesta di «leggere almeno l’introduzione», scritta di suo pugno, mi sembra fare cosa gradita, ma soprattutto stimolante, scrivere qui un paio di osservazioni. Non una recensione, perché non ho letto tutto il libro e non mi piace scriverne. In realtà ho letto anche qualcuna delle 100+10 parabole che sono state raccolte, e mi soffermo su questa introduzione, che è in pratica il vero elaborato dell’autore.

Innanzitutto ricevere in omaggio un libro dall’autore ti obbliga non dico a leggerlo tutto, ma quantomeno a dargli uno sguardo non distratto. C’è del positivo: devi dare una occhiata a un libro che probabilmente non avresti comprato: non mi piacciono e non leggo libri sul papa in generale; se mi va e mi capita leggo direttamente i loro discorsi sul sito Vaticano

«Francesco parla in parabole come Gesù di Nazaret»: questo il nome dell’introduzione di Luigi Accattoli in cui analizzando il senso delle parabole di Francesco qua e là sparse nella sua predicazione individua tre scopi fondamentali: (1) per esplorare il nuovo (2) per scuotere gli ascoltatori (3) per dire qualcosa dove non può dire tutto. Mi paiono più che condivisibili insieme alle argomentazioni addotte al riguardo.

Senz’altro il libro merita di essere letto per capire lo stile di questo Papa, del tutto inedito per come siamo abituati a concepire la figura dei papi. Francesco scava nella carne dolente delle sofferenze umane e, come appunto faceva il Nazareno, le usa per presentare degli insegnamenti che hanno nell’auditore un effetto “amplificato” riguardo al “colpo” assestato piuttosto di una predicazione teorica o argomentativa.

Ma ecco le mie osservazioni sul questa introduzione.

La prima:

Le quarantadue o sessanta parabole dei Vangeli (il numero varia a seconda che si aggiungano alle parabile narrative le similitudini e i proverbi) mostrano che Gesù di Nazaret conosce bene, da vicino, l’umanità del suo tempo: il seminatore e il pastore, il fattore che tratta con i debitori e quello che paga i lavoratori a giornata, [….]

(p. 9)

Questo passaggio circa i generi letterari, appena accennato, meritava a mio avviso un approfondimento: sappiamo infatti che nonostante chiamiamo «parabole» un po’ tutti i racconti di Gesù, quelle «propriamente tali» sono in realtà una parte. Lo è sicuramente quella del «buon samaritano» o «del Padre misericordioso» ma non lo sono altri che appunto rientrano nel genere letterario proverbiale, oppure similitudini, o iperboli. Non è mia intenzione individuare, nei Vangeli o in Papa Francesco questi generi. Credo però che sarebbe stato interessante farlo nel libro, magari mettere sotto il titolo di ognuna delle storie di Francesco, la categoria sua propria. Questo non per amore accademico o formale, ma perché credo che serva a far capire anche dove si vuole arrivare con il racconto.

La pagina di Cathopedia “Figure Retoriche” raccoglie abbastanza bene esempi biblici dei vari generi. Prendiamo appunto le parabole propriamente dette, cosa hanno di particolare?

È un racconto costruito strategicamente per ottenere un effetto. Si regge su una similitudine continuata, ma dissimulata fino alla fine. Si realizza mettendo in scena una vicenda, che trasporta gli ascoltatori, o i lettori, in un mondo fittizio. Ad un certo punto essi vengono trasferiti dalla situazione iniziale al reale, trovandosi così in un contesto ben determinato, che l’autore della parabola aveva in mente fin dall’inizio.

(da Cathopedia)

E qui si svela perché si chiama «parabola»: proprio per la sua similitudine con la omonima figura geometrica (conica): 

La parabola letteraria è analoga a quella geometrica: il racconto è la fase ascendente, fino al massimo, il trasferimento nel reale o «punto di shock» , a seguire la fase discendente avviene nella coscienza dell’ascoltatore il quale riconosce così in se stesso la verità dell’insegnamento. Questo è il valore pedagogico della parabola.

La parabola ha un preciso percorso: una prima fase che si caratterizza «al di fuori» dell’ascoltatore, è il grosso del racconto propriamente detto; poi un «punto di shock» che letteralmente colpisce l’ascoltatore, il punto in cui «si scoprono le carte» e infine la fase interiore, nella coscienza e nel cuore dell’ascoltatore.

Il punto di shock della parabola del buon samaritano (Luca 10,25-37) ad esempio è la domanda di Gesù: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». È il ritorno alla questione originaria, alla domanda «Chi è il mio prossimo?». A quel punto l’interlocutore, il dottore della Legge, o se preferiamo il lettore del Vangelo di Luca, è così obbligato a percorrere la fase discendente della parabola, fondamentalmente all’interno della propria coscienza, a riconoscerne la «verità in se stesso». Tale fase è spesso implicita e non raccontata nel testo. È dopo questo percorso che il dottore della legge può rispondere: «Chi ha avuto compassione di lui».

Altro sommo esempio di parabola nell’Antico Testamento, è il racconto del profeta Natan al Re Davide (2Sam 12): quando il profeta esclama «Tu sei quell’uomo!» è il punto di shock per Davide, il vertice della parabola. La Tradizione attribuisce non a caso il Salmo 51 (50) “Miserere” proprio come ammissione della propria colpa da parte del Re e profeta: è la riformulazione della propria esperienza dopo la fase discendente della parabola.

Sarebbe stato un interessante approfondimento, e un valore aggiunto senz’altro includere nella raccolta un riferimento al genere letterario, insieme ad altri dati già presenti come la fonte, il contesto. Avrebbe messo in luce quali dinamiche interiori quel racconto o similitudine o iperbole volesse sollevare. Senza per questo togliere alla piccola antologia lo stile leggero e senza per questo trasformarla in qualcosa di enciclopedico o accademico. Sarebbe anche una interessante curiosità capire quali generi il papa usa di più, con quali frequenze, con quali dinamiche etc…

Questo avrebbe avuto anche un sottile e doppio valore formativo per il lettore: educare anche a l’analoga distinzione all’interno del testo evangelico; in effetti questo valore il libro già ce l’ha: è lo stesso obiettivo di Francesco: parlando del papa, si finisce alla fine a rimandare a Gesù. che per il cristiano è sempre il punto centrale.

Chissà che questi suggerimenti non possano essere una ispirazione per una futura riedizione, quando magari queste parabole saranno più di 110…

La seconda osservazione riguarda la conclusione:

I trans che si sposano sono oggi nell’ordinamento canonico quello che erano gli eunuchi nel giudaismo del tempo di Gesù: la mutilazione li escludeva dal tempio, che avrebbero profanato anche solo con la loro presenza (cfr. Dt 22,20); ma i discepoli del Nazareno superano quel l’esclusione e il diacono Filippo, nel capitolo 8 degli Atti degli Apostoli, battezza l’eunuco etiope incontrato sulla strada che discende da Gerusalemme a Gaza,  mostrando fattualmente che la via cristiana non e chiusa a nessuno. Francesco, con la sua parabola vissuta, ci provoca a guardare oltre ogni norma esclude. Stessa cosa per i preti sposati incontrandoli il Papa spinge a immaginare una qualche forma di loro rientro nella conversazione ecclesiale. Francesco ha detto una volta che Gesù insegnava con “parole e gesti contundenti (26 aprile 2018). L’insegnamento in parabole scuote e spinge a osare l’inedito.

pp 23-24

Audaci, sagge e profetiche la sensibilità per Francesco per «gli ultimi» che fin dall’inizio del pontificato ha sempre rimarcato.

Mentre è vero che la via cristiana non è preclusa a nessuno, non vuol dire che ammette qualunque tipo di comportamento. Il cambiamento di vita radicale è sempre stato un requisito, storicamente riservato proprio ai catecumeni. Uno dei rimproveri fatti a questo papa non è tanto quello di essere accogliente (magari pure questo, ma solo per certe frange estreme) ma quello di essere ambiguo: non viene chiarito – evidentemente in modo voluto – che l’accoglienza della persona non comporta accoglierne anche i comportamenti. Insomma Francesco da l’impressione che la «conversione» la debba fare solo chi accoglie e non chi è accolto. Forse spera che così facendo si favorisca una successiva conversione? Ma poi accolto da chi? Dalla comunità-chiesa? O non piuttosto da Gesù Cristo? Alcuni sostengono che continuando la predicazione in questo modo si voglia esplicitamente pian piano sdoganare il comportamento omosessuale, abolendolo di fatto come peccato se non addirittura reinterpretarlo come benevolo. Con quale supporto della rivelazione biblica non si sa. E questo comporterebbe una ridefinizione radicale dell’intera antropologia umana nella prospettiva cristiana.

Non so bene come stiano le cose, ma qualche dubbio a me viene. Francesco su questo non è chiaro. Pur non condividendo la quasi totalità delle critiche rivolte a questo Papa, questa mi sembra la più seria, da prendere in considerazione: la sua voluta ambiguità su certi temi. D’altra parte sulla questione omosessuale la chiesa arranca e rincorre il mondo soffrendo per una mancanza singolare: la mancanza di santi al riguardo. Già… perché i veri rivoluzionari della Chiesa non sono papi, discorsi o libri…. sono i santi. Sono loro che in modo del tutto originale e sempre «in tempi di crisi» hanno indicato la via, in un modo inatteso sempre nuovo eppure sempre antico radicando nel Vangelo la propria vita: è lo scriba per il regno dei cieli. La chiesa ha un disperato bisogno di santi omosessuali. Ora. Che però non si vedono all’orizzonte.

Oppure, come sempre avviene, ve ne sono, ma brilleranno a tempo debito, dopo aver sofferto. Ecco perchè penso che la chiesa non debba sbilanciarsi in questo tema adesso: senza santi si finisce per andare dietro al mondo. E non è detto che la «questione omosessuale» non si sgonfi in futuro con un nulla di fatto dopo aver fatto tanto chiasso.

Tutto questo disquisire sulla “dottrina” (sia a favore che contro quella diciamo tradizionale) mi puzza tanto di razionalismo, un po quello che intorpidiva le discussioni al tempo di Gesù (chi è il mio prossimo? È lecito dare il tributo a cesare?). Ho come l’impressione che la risposta si altrove, anche se non ne vedo ancora il guado.

Certo tutto questo livello di discussione non può essere affrontato in un libro leggero e antologico come è «C’era un vecchio…», lo lascio quindi confinato a queste pagine come discussione generale.

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